Capitolo 42

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Sono stanco

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Sono stanco. Stanco nella mente e nel corpo. Completamente esausto di lottare contro i miei sensi di colpa. Mi sento responsabile di ogni singolo errore commesso in passato e soprattutto, mi sento uno schifo nel pensare a quelli recenti. Con gli errori precedenti non c'è più niente da fare, poiché sono già successi e non posso più cambiarli mentre gli sbagli appena compiuti, sono tutti qui, dentro me, che galleggiano e sopravvivono, nonostante averla presa e fatta mia per la paura di aver rovinato tutto. Non riesco a cancellare via dalla mente quelle immagini che, prepotentemente continuano a tornare su quel letto sfatto. La mia emicrania comincia a battermi prepotentemente sulle tempie sommerse di Whisky.

Non riesco più a contenermi. Tremo mentre lei prova a consolarmi e non c'è cosa peggiore al mondo di farsi vedere fragili e sentirsi contemporaneamente, la peggior feccia dell'universo. Non riesco a nascondermi dietro l'indifferenza in cui mi rifugiavo prima. Non sono capace ad esserle freddo e ostile e quella maschera che avevo indossato per anni, sfugge involontariamente via, mostrandomi debole ed è una cosa che odio, cazzo! Vedermela qui, stretta a me fa male agli occhi già tormentati all'idea di averla ferita.

Un lacerante senso di estraniazione s'impossessa del mio corpo, immobile e senza più un'anima che lo possiede. Vorrei distruggermi con le mie mani, così, nonostante la volessi lì con me mi distaccai. La scossi piano per le spalle, dandole un leggero bacio sulle labbra e rassicurandola sul fatto che non fosse successo niente e che non doveva preoccuparsi. «Vado a lavoro.» Dissi infine. Voltandole le spalle, sentivo già il suo sguardo addosso perforarmi da dietro con sospetto. Forse desideravo solo che lo vedesse. Volevo che percepisse lo sbaglio che non ero in grado di rivelarle apertamente perché non volevo perderla. Mi sentii inadeguato persino a respirare la sua stessa aria, così, mi dileguai velocemente dall'unica donna che volevo mi stesse vicino.


★ 


Lavoravo sciattamente, non mi sentivo in grado nemmeno di fare un passo. La mente era distratta e non riuscivo a seguire nulla. Non sentivo i continui richiami del coreografo, nemmeno gli insulti mi sfioravano. Non riuscivo a sentire un cazzo di niente se non tutto il dolore altrui...

Sentivo la tristezza di mia madre, la collera di Kaelan, il sospetto di Helena e infine, pensai al mio di dolore. I miei sbagli, il mio totale interesse per lei piegato dal mio stesso sentimento, all'amore che mi acceca e che aumenta nel vedermela dappertutto. Nel mio appartamento tra le sue cose, i suoi vestiti, i suoi disegni e le sue idee, il suo passato mai svelato. Ci siamo amati così, all'improvviso, e nonostante avessimo provato a schivare quel sentimento che rischiava di unirci, ci siamo legati.

Non ci siamo mai detti niente di serio che la riguardasse se non il minimo e indispensabile che riguardasse me, ma adesso, sento di voler sapere di lei. Sento il desiderio di volerla conoscere a fondo. Non sopporto che lei sappia più di tanti altri. Se devo essere fragile, voglio che anche lei si apra a me. So che questo è un pensiero egoista e dopo la bravata di ieri notte, non merito nemmeno di sapere nulla anche se prima di essermi trovato senza niente addosso, nel letto di una sconosciuta, lo desideravo. Pensavo, pensavo e continuavo a farlo. Ininterrottamente con un mal di testa incredibile da sfiancarmi le tempie che pulsavano di continuo.

Rimasi rinchiuso fino a tardi nel locale. Un afflusso di gente che stava dappertutto. Mani che toccavano ogni pezzo di me. Stavo lì, annullandomi in un sorriso che non sentivo mio. Ero un estraneo a me stesso. Non mi riconoscevo più. Cercavo di non tornare, non avevo l'esigenza di farmi vedere annientato dalla vita. Guardavo il tempo scorrere e andare. Infine, mi diressi nel mio anonimo camerino. Apro la porta distratto da ogni cosa, quando una voce di donna, mi fa alzare la testa di scatto.

«Bene, bene, bene. Da quando tempo non ci vediamo? Chiudi la porta. Abbiamo così tanto da raccontarci.» Lei se ne sta lì, di fronte ai miei occhi come un incubo da cui non riesco più a svegliarmi. I suoi occhi di un azzurro gelido mi guardano con malizia, scorrendomi su tutto il corpo. La sua lingua lecca ripetutamente il labbro superiore imbevuto di alcol ed io me ne sto immobile ad assorbire il gelo che mi trasmette la sua presenza. Punto gli occhi sui suoi tacchi alti che ticchettano sul lustro pavimento segnando definitivamente la mia fine, mentre, la sua gamba si accavalla all'altra. A quel lento movimento, il suo vestitino sale sempre più su, scoprendo le cosce toniche. Con un semplice scatto di polso e senza voltarmi, chiudo quella maledetta porta a chiave. La osservo in silenzio vedendola sbattere quelle infide unghie sul mio divano di lusso. «Vienimi più vicino.» Socchiudo gli occhi per un momento e senza un minimo di reazione faccio quello che lei mi chiede. Obbedii come un automa, senza coscienza di ciò che dovevo o non dovevo fare. Senza più percezione della realtà. E all'improvviso venni travolto dal vuoto.



Quando feci rientro, vidi la cena oramai freddata sul tavolo della cucina. Pensai alla mia Helena e mi riscossi col cuore in petto. Mi feci una doccia lunga e rigenerante spazzandomi di dosso quel profumo nauseante e poi, andai nella mia stanza. La trovai distesa su un fianco. La testa poggiata sul mio cuscino. Era lì, nel mio letto. Profondamente addormentata. Scostai le coperte e la raggiunsi. La tenni stretta a me fino all'alba con pensieri contrastanti in subbuglio.


Cosa cazzo stavo facendo?




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L'Angolo dell'Autrice:

Eh finalmente mi sono decisa, Lettori Miei!

Eh si, lo so... mi sono fatta aspettare non poco perché non avevo idea di come continuare ma adesso, pensandoci in tutti questi mesi fino alla nausea, ho deciso di seguire ciò che mi è venuto in mente dopo, poiché lo trovo più bello in qualche modo poi chissà... magari cambierò tutto. Spero che vi piaccia perché qui ne vedremo delle belle! ;)

Buona Lettura! 

-Clelia. (Che perde colpi oltre che punti...)





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