Capitolo 18

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Con la vicinanza di Chad, la chiamata di Sasha e il sorriso di mio padre sono riuscita ad alleviare questo giorno così doloroso per me, anche se quella donna mi ha ferita come sempre

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Con la vicinanza di Chad, la chiamata di Sasha e il sorriso di mio padre sono riuscita ad alleviare questo giorno così doloroso per me, anche se quella donna mi ha ferita come sempre. So bene che dovrei pensare alla loro innata allegria per stare bene con me stessa, ma alle volte cedo alla tristezza.

 L'unica costante nella mia vita sono Sasha e mio padre. Sono loro che mi danno continuamente la forza di andare avanti, anche se nel quadro delle mie certezze desidero vederci lui, il mio Chad. Vorrei che fosse veramente mio e li per me, nonostante io continui a ignorare i suoi sentimenti e non sappia come andrà a finire tra noi, non smetto mai di volerlo nel mio domani e il giorno dopo ancora. 

Mi asciugo una lacrima che mi scivola lentamente mentre mi faccio forza nell'attraversare l'attico di Chad. È quasi notte inoltrata quando faccio ritorno. Ero così assorta e concentrata sui miei pensieri e su tutto quello che continua a mancarmi in questo giorno, che ho perso la cognizione del tempo. Dopo Central Park, ho visitato il cimitero in cerca di una lapide che mi trasmettesse qualcosa dentro.

Una percezione. Un qualcosa che io non posso sperare di sapere, poiché non so il nome e il cognome di mia madre. Non so niente di lei e questo mi mortifica terribilmente. Quindi, ad ogni mio compleanno faccio un giro tra le lapidi, leggendo tutti i nomi incisi che mi capita d'incrociare. Vorrei poterle parlare o, semplicemente farle visita con un bel mazzo di fiori.

Avrei voluto lasciarle dei girasoli. I miei fiori preferiti! Perché la sua vita purtroppo è stata spezzata troppo presto ed io non ho potuto vivere in funzione di lei, proprio come i girasoli che hanno bisogno del sole per vivere, io avevo bisogno di mia madre. Di gravitare attorno a lei, di parlarle, sentire il suo profumo, dei suoi consigli, di ascoltare la sua voce, la stessa voce che non mi ha mai cullato nelle mie notti insonni. La donna che doveva curarmi quando mi sbucciavo le ginocchia o, quando il mio piccolo cuore veniva spezzato dalla sua prima cotta adolescenziale non corrisposta.

Avrei voluto mangiare del cibo spazzatura guardando un film sul divano. Avrei voluto piangere e trovare conforto sulla sua spalla. Avrei voluto parlarle del mio ciclo che mi ha traumatizzata non poco, quando ho visto la prima volta che ho sanguinato, soprattutto nel modo in cui è avvenuto. 

Avrei voluto chiederle quale marca di assorbenti avrei dovuto usare e comprarlo insieme a lei, nonostante il mio perpetuo imbarazzo che le avrei mostrato. Avrei voluto con tutto il cuore, essere accudita nel migliore dei modi, quando stavo male o avevo i crampi a causa delle mestruazioni. Avrei voluto che fosse accanto a me quando io ne avevo assoluto bisogno, desideravo odorare il suo profumo di mamma e viverla appieno.

Il girasole è un inno alla vita, il dono che io non ho mai potuto condividere con la donna più importante per me. Non l'ho mai conosciuta, non so come ridesse o quale fosse la parola che usava più di tutte quando era arrabbiata. Non saprò mai come si vestiva, le sue canzoni preferite, il gusto di gelato per cui impazziva, il colore che più adorava o, come aveva vissuto la sua adolescenza. Non saprò mai nulla di lei ne quello che ho ereditato dai suoi geni. Vorrei chiederle di mio padre e che tipo fosse.

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