Capitolo 2

611 14 3
                                    

«Anderson, nel mio ufficio!» Esclamò la signora Rutherford, lanciandomi un'occhiata a dir poco agghiacciante.

La mia collega, Jenny, mi lanciò uno sguardo di compassione per poi continuare il suo lavoro al computer.
Entrai nell'ufficio della Rutherford e mi sedetti in una delle comode poltrone in pelle nera davanti alla sua scrivania.

«Poco fa ho incontrato i genitori di questa ragazza, come mai il caso è stato archiviato?» Disse furiosa, buttandomi con rabbia il fascicolo giallastro sulla scrivania davanti a me.

«Signora, con tutto il rispetto ma il caso è stato archiviato poiché non ci sono abbastanza indizi, neanche uno a dir la verità.»

La calma che stavo mostrando non corrispondeva al mal di stomaco che mi stava iniziando a premere, Ruthford prese una penna in mano, stringendola con rabbia per poi guardarmi con uno sguardo truce.
Indicò la ragazzina, poco più di diciassette anni con dei lunghi capelli ramati e uno sguardo sorridente, una fototessera degna della sua bellezza spenta purtroppo troppo presto.

«Le affido il caso, cerchi di trovare qualcosa altrimenti prenderò provvedimenti!»

Uscì da quell'ufficio con i crampi allo stomaco e chiedendomi continuamente del perché avessi accettato anni fa di lavorare in quell'ufficio, mi mancava Melinda, Scott e persino quei colleghi che non facevano altro che mangiarsi le ciamballe di nascosto quando il capo non era presente.
Sospirai, chissà cosa mi avrebbe riservato ancora la vita.
Jenny mi venne incontro preoccupata e le spiegai il nuovo caso, il suo sguardo era pieno di compassione per l'ennesima ramanzina che mi aveva riservato la Rutherford però non chiese nulla, si limitò a parlare del caso.

«Dobbiamo chiamare i genitori.» Mi disse, annuì.

«La cornacchia mi ha detto prima che erano venuti a parlare con lei, dobbiamo telefonarli e convocarli in centrale, li chiami tu?»

Jenny non fece in tempo ad annuire che la voce assordante della Ruthford squillò in tutto l'ufficio.

«Jeeenny!»

Si avvicinò a Jenny con rabbia mostrandole il suo caffé.

«Ti avevo chiesto un caffè macchiato, non il latte macchiato al cacao e oltretutto chi sarebbe questo "Jeremy"?»

La Rutherford mostrò una scritta di pennarello nero sul bicchiere con un numero di telefono e il nome.
Lei diventò paonazza in viso tanto che il colore della maglietta rossa diventò un tutt'uno col suo viso.

«Signora, mi scusi, nella fretta ho sbagliato a prenderle il caffé!» Rispose quasi strillando, evitando la domanda di chi fosse il numero scritto sul bicchiere.

Mi venne da ridere al pensiero che Jenny nella caffetteria dove va abitualmente ogni mattina abbia un corteggiatore però mi trattenni.
Ruthford posò il bicchiere sulla scrivania di Jenny, riservandole uno sguardo truce per poi andarsene nel suo ufficio.
I colleghi ripreso a fare le loro cose come se non fosse successo nulla mentre io guardavo Jenny con un sorriso di compiacimento sul viso.

«Allora, chi è questo Jeremy?» Le chiesi con fare giocoso.

Si coprì gli occhi con le mani, ridendo.

«Il barista che mi fa ogni mattina il caffè.»

Ridacchiai nel vederla arrossire violentemente e le fece un occhiolino giocoso.

«Qualcosa mi dice che voglia essere più di un barista per te!»

«Hope!» Strillò per poi sgattaiolare via.

Continuai a ridere mentre presi il mio caffè alla macchinetta automatica e uscì nel terrazzo dell'edificio.
Estrassi una sigaretta dal pacchetto rosso con la scritta Malboro per poi accenderla.
Ancora ricordo bene il giorno in cui me ne andai, lasciando indietro chiunque facesse parte della mia vita, non mi curai di nulla se non di scappare da quella città che si stava rivelando troppo stretta per me.

Caleb

Il suo nome mi tornò in mente come un fulmine a ciel sereno e chiusi gli occhi di scatto, volendo scacciare l'immagine formatasi nella mia mente.

«Hope, i genitori della ragazza sono qui!»

Una voce mi riportò alla realtà e vidi Jenny sull'uscio della porta osservarmi stranita.

«Va tutto bene?» Mi chiese.

«Sì, andiamo.»

Non la guardai negli occhi, sapevo che se l'avessi fatto avrebbe capito che c'era qualcosa che non andava e non mi andava di parlarne.
Nell'ufficio trovai una coppia che potevano essere sulla cinquantina d'anni, la donna aveva una folta chioma bionda cotonata e degli occhi azzurri lucenti con delle labbra carnose di un rosso vivace ed un naso leggermente ad acquilino, l'uomo invece con uno stile più sbarazzino e meno composto di lei con capelli brizzolati grigi e degli occhi azzurri, entrambi mi osservavano con un espressione di speranza nei loro occhi, era chiaro: speravano che potessi dare loro una qualche notizia utile a farli rasserenare ma non sapevo nemmeno io come iniziare, non era facile ed era ciò che odiavo di più del mio lavoro: dare brutte notizie ai parenti o fare domande troppo scomode.

«Signori Lewis mi dispiace avervi convocato dal nulla, andrò dritta al punto: so che il caso è stato chiuso e per questo vi porgo le mie più sincere scuse, vorrei però farvi qualche domanda se siete d'accordo cosicché possa indagare in modo più concreto per vostra figlia!»

I due coniugi si guardarono per un attimo per poi rivolgermi un sorriso, la donna annuì.

«Quando avete visto per l'ultima volta vostra figlia?» Chiesi cauta.

«Beh . . . signora Anderson, l'ultimo nostro incontro è ciò che rimpiango di più . . .»

Il Gusto Del ProibitoWhere stories live. Discover now