Capitolo 28

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«Signorina Anderson, che piacere rivederla!»

Mi voltai verso la voce che mi richiamò e vidi Daniel di fronte al bar dove andavo ogni mattina a prendere il mio caffé.

Ci risiamo.

Mi avvicinai, nella mia mente roteai gli occhi scocciata.

«Ti ho preso il tuo caffè con latte di soia!» Esclamò e solo in quel momento notai due bicchieri nelle sue mani.

Gli sorrisi falsamente e afferrai il mio caffè.
Sperai che decidesse di andarsene ma iniziò a camminare al mio fianco con un espressione sorridente.

Che diavolo sorridi.

Pensai nella mia testa.

«A che punto siete con il caso?» Mi chiese.

Lo guardai stralunata, non capì da dove sapesse del mio lavoro attuale.

«Ti ricordi, me ne hai parlato in caffetteria!» Disse confuso.

Collegai la mia scusa penosa che gli rifilai quel giorno e annuì sorridendo.

«Certo, scusa . . . il lavoro mi opprime.» Gli risposi.

«Ancora non abbiamo una pista sicura.» Continuai.

«Questo killer mi ricorda Barbarossa!» Esclamò sghignazzando.

Lo guardai con un espressione confusa, sollevai le sopracciglia mentre Daniel riprese la sua postura composta sorridendo mentre si passava una mano nei folti capelli.

«Sai, la cicatrice e-» Tossì imbarazzato guardando altrove.

«Lascia stare, una sciocchezza!» Continuò riportando lo sguardo verso di me.

Risi per poco in modo da sdrammatizzare quel l'imbarazzante atmosfera creatasi fra di noi.

Se l'avesse visto Caleb l'avrebbe appeso come un salame all'insegna del bar.

Pensai ridacchiando.

Al ché Daniel mi guardò confuso e mi diedi un contegno perché probabilmente sembravo una pazza in quel momento.

«Hai programmi durante la settimana?» Mi chiese all'improvviso dopo un silenzio assordante.

Gli rivolsi un espressione fintamente dispiaciuta e sospirai.

«Sono indaffarata col lavoro, mi spiace.» Gli risposi e per un attimo mi sentì incredibilmente in colpa.

Mi dispiaceva provocargli quelle sconfitte ed essere scostante ma non volevo illuderlo su un qualcosa che non ci sarebbe mai potuto essere, eppure era sempre disponibile, nonostante lo rifiutassi continuamente non si stancava mai, mi lasciava sorpresa il suo modo di fare.

«Allora . . . non ti preoccupare, ci vediamo in giro!» Disse per poi andarsene senza darmi il tempo di replicare.

Sospirai affranta.

Non volevo che stesse male ma il dolore era inevitabile.

Quando arrivai nell'ufficio presi il fascicolo della vittima ed iniziai ad analizzare ogni singolo dettaglio.

«Hope, c'è stato un altro omicidio!» Jenny irruppe nel mio ufficio parlando di fretta, raccolsi la mia borsa per poi mettermi il cappotto e uscì insieme a lei dal mio ufficio.

«Si sa' qualcosa?» Le chiesi.

Negò con la testa e continuammo a camminare alla svelta.

La vittima dall'aspetto mi sembrò una ragazza molto giovane, aveva un tremendo taglio sulla carotide e l'inevitabile stella ritagliata sulla pelle all'altezza della clavicola destra.

«Che morte orrenda.» Dissi a Jenny che annuì in risposta.

Mi avvicinai ai due esaminatori presenti vicino al corpo della vittima che erano intenti a scrivere le proprie deduzioni su un taccuino.

«Presumibilmente a quando risale la morte?» Chiesi ad uno di loro.

«Circa tre-quattro ore.» Mi rispose uno di loro ovvero una ragazza più o meno della mia età.

«Il colpo contundente alla carotide l'ha uccisa mentre il segno è stato fatto post-mortem.»

Annuì in risposta e andai da Jenny che era intenta a parlare con uno degli agenti della polizia presenti sul posto.

«Chi l'ha trovata?» Le chiesi.

L'agente si allontanò mentre Jenny rivolse la sua completa attenzione su di me.

«Mike, l'agente della polizia che se n'è appena andato, mi ha detto che l'ha trovata una donna di circa trent'anni che stava passando per caso in questa via.» Mi rispose leggendo su un taccuino.

«Si chiama Amanda Cruz.» Continuò per poi indicarmi una donna visibilmente scossa che stava parlando con degli agenti della polizia.

Mi avvicinai alla cerchia dove vi era la donna.

«Salve, sono l'agente Anderson. Vorrei parlarle se può.» Esclamai con voce ferma.

Il se può era più che superfluo ma non mi sembrava il caso di imporle qualcosa per come era ridotta psicologicamente.

Annuì senza fiatare e ci allontanammo dagli altri.

Il Gusto Del ProibitoWhere stories live. Discover now