Capitolo 21

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Dovevo essere felice di uscire con Daniel Cornwell . . . giusto?

Ripetei questa frase nella mia testa lungo tutto il tragitto da casa mia fino al Bar dove ci eravamo dati appuntamento.

Il mio frappé alla fragola era più interessante della partita di baseball a cui Daniel aveva partecipato e di cui mi stava raccontando.
Infatti continuai a girare la cannuccia nel bicchiere ripensando a ciò che era successo con Caleb.

«Hope?» Mi richiamò Daniel, guardò il mio viso con un espressione confusa e mi palesai interessata incitandolo a continuare il suo monologo.

Daniel riprese a parlare di come aveva vinto contro la squadra avversaria e vantandosi delle sue mosse a tal punto che immaginai di usare la pistola di un tizio seduto al bancone, che cercava miseramente di nasconderla nei risvolti dei suoi pantaloni appariscenti, per porre fine a quel massacro psicologico intensivo.

Tu ci sei voluta uscire.

Mi ricordò la mia vocina interiore.

«Zitta!» Esclamai di getto.

Non sentì più Daniel parlare e alzai lo sguardo per trovarlo con un espressione incredula, intento a fissarmi. In quel momento mi resi conto che avevo parlato a voce alta. Mi diedi mentalmente della stupida e iniziai a sorridere fintamente.

«Vuoi che smetta di parlare del baseball?» Mi chiese scioccato.

Continuai a sorridergli anche se avrei voluto sotterrarmi o utilizzare veramente la pistola del tizio per uscire da quella situazione imbarazzante che si era creata.

«No, mi stavo - ecco» Non seppi nemmeno io cosa dissi ma la mia lingua si ingarbugliò non sapendo cosa dire.

Come posso dire che era fastidioso senza dirgli esplicitamente che lo era?

«Stavo pensando ai vicini, sai . . . li sento ogni notte e non è così piacevole!» Feci una finta imitazione con le mani per desumere a cosa mi stavo riferendo e lo vidi storcere la bocca schifato.

«Okay, non mi interessano i particolari!» Esclamò ridendo.

Tirai un sospiro di sollievo, ridendo fintamente.

«A cosa state lavorando ultimamente?» Mi chiese.

«Il caso di una ragazza uccisa che sembra collegato ad un altro omicidio ma non parliamo di lavoro . . . tu invece hai intenzione di trattenerti per molto qui?» Gli chiesi senza voler sembrare sgarbata.

«Oh sì, per quanto il lavoro me lo permette vorrei conoscere questo posto e soprattutto una persona in particolare.»

Le sue ultime parole furono più un sussurro che un affermazione ma feci finta di non aver compreso che si stava riferendo a me e gli sorrisi ancora.

«Puoi provare a contattare una guida turistica, ti farà vedere gran parte della città!» Gli risposi.

Sei una stronza.

Mi ricordò la mia vocina interiore.

«Stronza ci sei tu!» Esclamai convinta.

Daniel si ammutolì e lo vidi mandare un groppo giù per la gola.

Che lo stessi intimorendo?

Probabile da come sfregava le mani sui suoi jeans blu.

«Scusa, è la stanchezza.»

Fu l'unica scusa che mi venne in mente in quel momento e ringraziai l'Universo quando gli vidi tornare il sorriso e l'espressione rilassata sul volto.

«Scusami ma ho davvero tanto lavoro e purtroppo devo andare.» Gli dissi alzandomi dalla poltrona rossa in ecopelle del Bar.

Si alzò pure lui e rimase in silenzio mentre afferravo le mie cose per poi incamminarmi verso l'uscita.

«Ci si vede!» Esclamai in forma di saluto.

«E se mangiassimo insieme stasera?» Rispose sorridendo.

Sbuffai nella mia testa e nascosi il mio fastidio, come sempre.

«Scusami ma non posso, un'altra volta magari.» Gli dissi scappando letteralmente dal locale.

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