18° Capitolo - Ritrovo me stessa

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«Hope, un giorno conoscerai qualcuno in grado di farti battere il cuore e farti felice e ti prego: non lasciarlo mai andare. Quando sbaglierà, comprendilo. Se è la tua ancora, tu devi essere sempre e comunque la sua nave a cui reggersi.»

Mia madre continuava a ripetermi quelle parole mentre mi accarezzava il viso e qualche lacrima sfuggiva dai suoi occhi blu oceano, fin allora non l'avevo mai vista scomposta, era sempre perfettamente truccata e vestita, mai un filo di capelli fuori posto ma i suoi occhi oramai spenti e tristi tradivano la sua immagine da donna in carriera.
«Mamma, perché dovrebbe battermi il cuore per qualcuno, non rischio di sentirmi male?» Chiesi con voce innocente.
«Perché mia cara Hope sarà la persona che ti completerà, in ogni tua sfumatura e non potrai farne a meno.» Mi rispose con dolcezza.

Aprì il portagioie ed afferrai la collana che mi fu regalata da mia madre per il mio sedicesimo compleanno, ovvero una collana fatta di Swarovski e con un ciondolo dorato in forma ovale che si apriva, dentro vi era la foto di mia madre ed io mentre sorridevamo all'obiettivo, era uno di quei giorni in cui eravamo stati veramente felici e ricordavo ancora quando mia madre rideva spensierata alle pessime battute di mio padre che nonostante non facesse ridere sul serio mia madre rideva a crepapelle e si vedeva quanto l'amava, ogni volta che vedeva mio padre vedevo i suoi occhi brillare ed era come se ritrovasse una parte di se stessa.

«Hope, custodisci questa collana e falla tramandare di generazione in generazione. Non dimenticare mai chi sei.»

Mi disse mia mamma con voce tremante dopo l'ennesima litigata con mio padre. Quel che mi aveva detto potevo interpretarlo come un messaggio, come per dire di non diventare come lui e di non lasciarmi sopraffare dal denaro e dall'avidità ma di ricordare sempre quali sono i veri valori della vita.

Riposi la collana nel portagioie e lo chiusi di scatto.

Avrei dovuto smetterla di lasciarmi prendere dai ricordi, ormai ero da sola e dovevo saper cavarmela senza che nessuno mi aiutasse.

Nonostante ciò ricordai così bene il giorno in cui rimasi sola, in cui i miei genitori se ne andarono e rimasi sola in una casa troppo grande per me con troppi ricordi alle spalle.

«Mamma!» Gridai, chiudendo la porta d'ingresso. Buttai lo zaino sul divano ed iniziai a chiamare mia madre per casa non ricevendo alcuna risposta. Andai nell'ufficio di mio padre ma neanche lui era lì, sentì il panico salire ed iniziai a gridare i loro nomi sempre più forte. Andai in cucina di fretta e furia gridando come una matta ma quel che mi si presentò davanti mi fece tirare un urlo agghiacciante e crollai a terra. In una pozza di sangue vi era riversata mia madre insieme a mio padre, entrambi erano con gli occhi chiusi con un sorriso sulle labbra e si stringevano la mano. «No!» Continuai a gridare andando nel panico più totale. Presi il telefono con le mani tremanti piene del loro sangue e chiamai i rinforzi insieme all'ambulanza. «Non potete morire!» Gridai impaurita, controllai il respiro di mio padre e non sentivo più nulla, ebbi paura di controllarlo a mia madre, non ci riuscivo nonostante sapessi già la risposta non riuscivo a muovere un muscolo verso di lei.

Quello fu uno dei giorni più difficili da sopportare, quanto da affrontare. I soccorsi arrivano in pochi minuti, fecero di tutto ma era già troppo tardi. E così rimasi sola con me stessa senza nessun motivo per cui continuare a sperare.

Lo squillo del telefono mi fece risvegliare dai miei pensieri, presi il telefono e risposi.

«Hope, dove diavolo sei? Stiamo aspettando solo te per andare ad interrogare Caleb Winslet!» Spostai il telefono dall'orecchio aspettando che Melinda finisse di gridare.

«Andateci voi, per favore.» Risposi per poi chiudere la chiamata.

Il Gusto Del ProibitoWhere stories live. Discover now