Capitolo 30

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Mi guardai intorno.

Ero nel central park che raccoglievo le idee sul nuovo caso quando mi sentì osservata. I miei sensi si ampliarono e credetti di essere diventata matta.

Scrollai le spalle come per levarmi quella sensazione snervante di dosso e mi diressi verso la mia auto.

Nell'ufficio ci sarebbe stato l'ennesimo scoop della vittima trovata in quel vicolo e ognuno avrebbe cercato di trovare la soluzione come se si contendessero una partita di hockey.

Quando arrivai trovai ogni agente indaffarato ai loro PC e rimasi sorpresa. Di solito li trovavo a chiacchierare, mangiare ciambelle e prendersi in giro a vicenda.

«Detective Anderson, la trovo in forma!»

Mi voltai verso la voce che attirò la mia attenzione e rimasi sbigottita nel vedere il mio ex-capo guardarmi con sufficienza dall'alto in basso mentre stava seduta su una poltroncina in pelle nera.

Si alzò con estrema grazia e lentezza, lisciandosi con i palmi delle mani i lembi della gonna gessata e venne spedita verso di me.

«Le dirò però, i suoi colleghi erano così indaffarati che . . . tu-» Disse richiamando il mio collega Smith.

«Come ti chiami?» Continuò.

Smith deglutì balbettando appena mentre le rispondeva e lei si rigirò verso di me senza dirgli altro.

«Il suo collega Smith stava per affogarsi con una ciambella quando mi vide arrivare.» Esclamò con sarcasmo.

Evitai di guardare Smith perché sapevo che era già provato e a momenti si sarebbe sciolto sul pavimento dell'ufficio.

Le sorrisi con circostanza, non sapendo cosa risponderle.
Effettivamente essendo che la Rutherford era continuamente in viaggio per risolvere altri casi mi aveva affidato a me la dirigenza di quei scalmanati.

Come sempre, hanno pensato di essere in ferie con cinque mesi prima.

«Con tutto il rispetto, ero alle prese con un nuovo caso appena segnalatomi e non ho potuto vigilare sull'efficacia del lavoro dei miei colleghi.» Le risposi.

Mi guardò con sufficienza e si sistemò gli occhiali.

Pensai che quell'espressione sistematica non mi mancò per nulla per quei lunghi anni da quando me ne ero andata.

«Mi stupisce che sia lei a guidare la squadra.» Disse senza peli sulla lingua.

La mia bocca assunse un espressione di puro sconcerto e feci per risponderle però mi precedette.

«Sapevo ci fosse l'agente Rutherford come suo superiore. Potrebbe spiegarmi questo cambiamento?» Finì.

La sua domanda la percepì come un:
Non è in grado di fare il suo lavoro.

«Il tenente Rutherford è in viaggio per risolvere altri casi d'omicidio per cui mi ha affidato il controllo.» Le risposi freddamente.

Mi studiò con lo sguardo.

I suoi tacchi a spillo neri e laccati la rendevano più alta di me di pochi centimetri per cui mi sentivo come un pulcino nella morsa della volpe.

«Capisco.» Disse semplicemente.

Si diresse verso la poltroncina dove la trovai appena entrata in ufficio e si sedette con estrema eleganza.

«Il tenente Rutherford è rimasta ferita durante una sparatoria, per la quale mi è stato affidato questo dipartimento.» Sganciò la bomba.

Il mio cuore balzò e per qualche attimo non sentì più i battiti. Pensai di sognare o che ero morta e mi trovavo nel limbo.

«Sia chiaro.» Continuò sistemandosi quei maledetti occhiali con sufficienza.

«Non crediate che mi diverta ma esigo disciplina, professionalità e soprattutto non voglio più vedere agenti che mangiano ciambelle o sghignazzano anziché lavorare.»

I miei occhi andarono su Smith che si guardò intorno con imbarazzo poiché era chiaro si stesse riferendo a lui.

Povero Smith.

«Sono stata chiara?» Tutti annuirono e lei alzò il mento in segno di soddisfazione.

Si alzò nuovamente dalla poltroncina e si avviò verso l'ufficio che era della Rutherford.

Quando entrò tutti rilasciammo un sospiro di sollievo e vidi negli occhi dei miei colleghi l'incertezza e la paura di come sarebbe stato il loro nuovo capo mentre per me, fortunatamente o sfortunatamente già era chiaro.

Il Gusto Del ProibitoWhere stories live. Discover now