Capitolo 19

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Tornai a casa sfinita, aprì la porta per poi accendere la luce. Strabuzzai gli occhi nel vedere Caleb seduto sul mio divano con un sorriso di circostanza.
Chiusi immediatamente la porta e mi catapultai su di lui.

«Che ci fai? Come sei entrato?» Urlai scioccata.

Iniziò a ridere come se gli avessi raccontato una barzelletta e si posizionò meglio, solo in quel momento notai il calice col vino nelle sue mani. I miei occhi diventarono due fessure indistinte per la rabbia e glielo strappai dalle mani.

«Come ti permetti a frugarmi in casa?» Continuai.

«Vuoi sapere cosa ci faccio qui, ragazzina?» Esclamò tra i denti con un sorriso di scherno.

«Pensavo fossi cambiata, sai.» Continuò per poi avvicinarsi.

Arretrai finché sentì la porta toccare la mia schiena e deglutì.

«Sei soltanto la ragazzina viziata che eri in quella cazzo di città!» Sputò senza staccare gli occhi dai miei. «Non fai altro che girare intorno a chi non devi, pensi di aver costruito una vita perfetta e sai cosa?» Continuò e mi sorrise. Cavolo, se mi sorrise.
Non potevo sapere che quel sorriso non si trattava di una carezza ma di uno schiaffo perché mi sentì nuda davanti ai suoi occhi quando riassunse la sua espressione di scherno.

«Non hai fatto un cazzo!» Urlò. «Pensi di avere quella tua amica che ti vuole bene, un lavoro che ti soddisfa eppure la tua vita non è tanto diversa da quella precedente, vorrei soltanto toglierti dalla mia testa perché non meriti nulla di quel che sto pensando di volerti fare in questo momento ma cazzo . . .» Finì urlando ancora.

D'istinto appoggiai le mani sul suo petto volendolo allontanare ma non sembrava volesse finire la conversazione.

«Sei così bella e io non so cosa farmene di tutta quella merda che mi appartiene appena uscirò da qui, vorrei non averti mai conosciuta, mi hai tormentato per tutto questo tempo dopo che te ne sei andata e non so come mandarti via dalla mia testa perché non faccio altro che pensare a come sarebbe spogliarti ora e scoparti fino a farti dimenticare il tuo cazzo di lavoro perfetto!»

La mia bocca assunse un'espressione di shock e senza volerlo la mia mano si mosse dandogli uno schiaffo forte sulla guancia, lasciò andare la presa e ne approfittai per allontanarmi.
La mia mente era un intrinseco di pensieri confusi, le mie mani ancora bruciavano e il mio cuore era ridotto pure peggio.
I miei occhi iniziarono ad inumidirsi e mi portai la mano sulla bocca quando realizzai quello che avevo fatto. La mia disperazione trapelava da ogni mia singola particella, il cuore non voleva calmarsi e mi chiesi se in tutti questi anni fossi scappata dal mio destino o se mi fossi salvata.

Caleb mi guardò portandosi una mano sulla guancia colpita e tirò su col naso senza smettere di guardarmi con rabbia.

«Ti odio!» Urlai piangendo.

La mia mente in quel momento si spense, sentì l'adrenalina crescere a dismisura e la mia testa parlare liberamente dando sfogo a tutto ciò che stavo pensando.

«Non sai nulla, sei apparso dopo tutti questi anni e mi giudichi. Sai cosa? Sì, me ne sono andata perché tu non hai mai saputo prenderti le tue responsabilità, me ne sono andata perché mettere a rischio la mia carriera per un malavitoso come te non era nei miei piani, me ne sono andata perché mentre tu ti scopavi le tue amiche io piangevo per te e vuoi che ti dica un'altra cosa?» Mi fermai guardandolo mentre risi fintamente con le lacrime che non smettevano di scendere.

«Ti ho difeso, razza di idiota! Ti ho difeso quando non ho detto nulla al Capo su di te, ti ho difeso quando ho messo la mia carriera al secondo posto alla tua libertà, ti ho difeso quando me ne sono andata per non complicarci la vita a vicenda perciò non venire qui dopo tutto questo tempo a fare il moralista perché tu non sai proprio un cazzo!» Finì urlando.

Mi sentì all'istante più leggera e aspettai una sua sfuriata ma l'unica cosa che fece fu avvicinarsi a me velocemente e posare le sue labbra sulle mie.

Il Gusto Del ProibitoWhere stories live. Discover now