20° Capitolo - Punto di vista di Caleb

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Arrivai in Arizona, precisamente Phoenix, in poche ore grazie al mio jet privato.

Venni accolto a braccia aperte da mia zia Rosaline, ignara della provenienza del mio benestare economica e pensava che lavorassi per la BBH & CO., ovvero la Brown Brothers Harriman & Co. che era una delle più famose banche statunitensi.

«Caleb l'ultima volta che ti ho visto non eri così alto, il tempo dà i suoi frutti a quanto vedo!» Esclamò mia zia stringendomi in un caloroso abbraccio, ricambiai con un po' d'esitazione.

«Zia, così mi uccidi!» Mormorai cercando di sfuggire al suo abbraccio troppo stretto, ridacchiò mentre mi lasciò finalmente andare.

Mentre tornavamo nella casa in cui ebbi passato la mia infanzia e adolescenza osservavo le abitazioni, i negozi, le persone passarmi velocemente accanto e nonostante non volessi ammetterlo mi era mancata la tranquillità che tanto cercavo nell'ultimo periodo.

Che mi stessi pentendo della strada che avevo deciso d'intraprendere?

No, non me ne sarei mai pentito. Era grazie a quel che facevo se potevo permettermi di vedere qualora volevo mia zia senza chiedere a nessun capo fastidioso di concedermi alcune settimane di ferie, però mi capitava molte volte di pensare a come sarebbe stato se avessi condotto una vita normale e leale con un lavoro pressoché pulito, senza spargimenti di sangue, di dolori o senza il bisogno di ricorrere a minacce che poi avrei dovuto mantenere per far rispettare il mio nome ed era lontano, era un futuro che proprio non riuscivo a vedere per me stesso, non mi apparteneva.

«Ovviamente le tue cose vanno nella tua vecchia camera!» Ridacchiò la zia entusiasta.

Le diedi un bacio sulla guancia sorridendo e salì le scale in legno, arrivai nella mia vecchia e adorata camera che a differenza della mia attuale camera a NY era solo una fotocopia molto più ridotta e più semplice, posai i borsoni accanto all'armadio che avrei sistemato più in là e come ogni volta che venivo presi ad osservare i quadri appesi al muro che ritraevano me da adolescente quando ancora non avevo nulla per la testa a parte le serate con gli amici, le ragazze e le auto.

Un giorno mio padre mi regalò un'auto nuova di zecca e fui così felice che mi feci fare una foto per poi incorniciarla, a scuola diventai molto popolare tra le ragazze e i ragazzi, ero un punto di riferimento per chiunque mettesse piede nel Brighton College.

«Cal, ti ho preparato i tuoi pancakes preferiti al sciroppo d'acero!»

Nonostante fossi stato sempre un po' distante verso le persone a me care mia zia sapeva sempre come prendermi.

Amavo la sua cucina, come i suoi amati pancakes che preparava esclusivamente per me.

La ragazzina aveva deciso di non venire all'incontro e io non potevo fare altro che andarmene via da quella città che sentivo sempre di più opprimermi come un leone in gabbia.

La mia decisione nel volerla incontrare era del tutto insensata, cosa mi sarei potuta aspettare da una come lei? Avrebbe certamente aspettato che io dicessi qualcosa a mio sfavore e sarebbe corsa dagli altri sbirri a riferirlo.

Non potevo di certo aspettarmi che scegliesse uno spericolato capo, al suo lavoro. E non dovevo volerla.

Passeggiando per le strade di Phoenix mi resi conto che per via del lavoro mi ero perso gran parte di quella città, la ricordavo che era molto più arretrata, in quel momento era più industrializzata e nonostante ci fossero più negozi e locali dove passare le serate mi mancava quella tranquillità che c'era quand'ero un sedicenne con la testa in aria, a differenza degli adolescenti d'oggi noi andavamo a divertirci in zone isolate, campeggiando, bevendo, ballando e ridendo fino al risalir del sole.

Le sbronze più belle erano quelle di gruppo in cui eravamo tutti insieme e ridevamo uno dell'altro per poi risvegliarci il mattino seguente con un mal di testa atroce ma con un sorriso sul viso e vaghi ricordi della serata precedente.

Non pensavamo alle opinioni della gente, a cosa potesse andare di moda in quel momento, semplicemente vivevamo quel che per noi era indispensabile nella nostra vita da liceali.

«Caleb?»

Ascoltavo il dolce suono delle onde infrangersi nelle rocce quando mi sentì essere richiamato.

Girai con disinteresse la testa, appena vidi la persona davanti a me rimasi di stucco.

In carne ed ossa davanti a me vi era Chelsea e la voglia di scappare da quella situazione imbarazzante aumentava di minuto in minuto.

Chelsea Bronx fu la mia ragazza al tempo del liceo, era intoccabile per via del padre che era il preside del college e lei usufruiva di questo suo vantaggio per muovere l'intero corpo studentesco a suo piacimento, nei primi tempi non badavo per niente a lei, concentrato più sul basket e sulla vittoria, fin quando ad una festa organizzata per una nostra vittoria non abbiamo iniziato a parlare, lei s'innamorò di me però per me era solo una sicura che se avessi avuto bisogno di sfogare i miei bisogni sessuali lei era presente.

Nonostante ciò col tempo iniziai seriamente a tenerci e non resistetti neanche io a quei occhioni verdi, fin quando un giorno l'ha trovai con un mio compagno di basket nella camera da letto, entrambi in intimo.

E fu grazie a lei se divenni lo stronzo senza cuore con la fama di una sera soltanto, le ragazze ogni volta pretendevano più che una semplice notte di passione e io non potevo dar loro qualcosa che non avevo più.

«Sei cambiato.» La sua voce mi risvegliò dai miei pensieri e tentennai, Chelsea era davanti a me ed era arrivata l'ora della resa dei conti.

«Tu invece per niente.» Risposi con un sorriso.

I suoi capelli non erano più corti come era di suo solito portarli durante i cinque anni di liceo ma erano più lunghi, sempre di quel biondo miele, le labbra erano contornate da un rosso acceso e lunghe ciglia finte risaltavano l'unica cosa vera che ancora c'era in lei, i suoi occhi verdi. Il suo abito lasciava poco all'immaginazione con uno scollo abbastanza ampio nonostante arrivasse un po' più sopra delle ginocchia.

«Sempre così gentile, mi era mancata la tua lingua biforcuta!»

Sogghignai, ancora non era nulla se pensava di potermi manovrare ancora a suo piacimento, si sbagliava, grazie a lei avevo capito da fin dei tempi del liceo che non sempre se fai del bene ne ricevi altrettanto in cambio e la mia lingua biforcuta mi aveva permesso di farmi valere più di prima.

«Anche a me è mancato il tuo corpo.»

Chelsea si lasciò andare un sospiro di frustrazione e prese a guardarsi le unghie laccate.

«Non potremmo dimenticare il passato?» Sussurrò e sentì come un groviglio in gola che non mi permetteva di respirare facilmente.



Il Gusto Del ProibitoWhere stories live. Discover now