Capitolo 40

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«Jenny, abbiamo il referto del medico legale?» Le chiesi.

Leggevo attentamente i fogli del caso, rinchiusa dentro l'ufficio con Jenny che voleva parlare di tutt'altro.

Era stressante mentre sbuffava e arrotolava le ciocche di capelli sulle sue dita.

«Jenny!» Dissi più forte, vedendola assorta nei suoi pensieri.

Sobbalzò leggermente e si voltò di scatto verso di me.

«Stavo pensando a come si sono susseguiti i fatti. Prima la donna viene qui, poi viene uccisa e infine troviamo un biglietto intimidatorio.» Riassumò.

«Non ti sembra pure a te che manchi qualche tassello fondamentale?» Continuò guardandomi con una mano che le reggeva il mento ed appoggiata col braccio alla scrivania.

«A dire il vero, penso che l'assassino sapeva che la donna sarebbe venuta qui e ci ha solamente preceduto. Insomma, l'ha messa a tacere prima che rivelasse altro che ancora non ci aveva detto.» Dissi pensierosa.

▪️▪️▪️

La mia mente era talmente occupata dal lavoro che non sentì il telefono vibrare insistentemente sulla scrivania.

Quando me ne accorsi il mio corpo ebbe una scossa nel vedere il nome di Caleb comparire sulla schermata.

«Pronto?» Risposi col respiro in gola.

«Sei dannatamente difficile da capire, Hope Anderson.» La voce di Caleb risultò ovattata.

O meglio dire, che offuscata probabilmente dal troppo alcool.

«Hai bevuto?» Più che una domanda risultò un affermazione la mia.

Sentì delle risate da parte sua. Mi chiesi perché mi aveva chiamata in quelle condizioni. Non ero in grado di reggere nemmeno il Caleb sobrio, figuriamoci quello ubriaco.

«Sei una stronza. Dove sei?»

È assurdo come passò da un estremo all'altro, passando da un insulto ad una domanda.

«Caleb, non mi chiamare più!» Strillai.

Chiusi la chiamata e mi avvolsi nel cappotto pregiato di Yves Saint Laurent.

«Hope!» Mi richiamò Jenny vedendomi andare via di fretta.

«Dove stai andando?» Continuò dubbiosa.

Sbuffai per la rabbia e incrociai le braccia al petto.

«Devo schiarirmi un attimo le idee e fumarmi una sigaretta perché altrimenti impazzisco!» Le dissi per poi scappare via, sicuramente avrebbe iniziato a farmi altre domande e in quel momento avevo bisogno di tutto tranne che di un interrogatorio.

Mentre scendevo impaziente le scale dell'edificio il telefono riprese a vibrare insistentemente e ringhiai per lo sconforto.

Alcuni passanti che stavano uscendo ed entrando dall'edificio mi guardarono sbigottiti e gli riservai un'occhiata torbida per poi premere con ferocia il pulsante verde sul mio telefono.

«Ti ho già detto che non mi devi più chiamare.» Strillai infischiandomene di essere fuori da un distretto, della mia reputazione e delle persone che mi guardavano come se avessi due teste.

«Tra cinque minuti ti vengo a prendere. Fatti trovare davanti al distretto.» Disse senza nemmeno ascoltare le mie parole.

Boccheggiai sconcertata.

«Ma, aspetta - Caleb!» Strillai ancora quando dedussi che aveva chiuso la chiamata.

Mi venne voglia di buttarmi dalle scale, effettivamente erano tantissime e se mi fossi buttata dalla parte più alta . . . - riflettei portandomi una mano sotto il mento pensierosa - mi sarei solo procurata qualche frattura.

Abbandonai l'idea e mi sedetti su un scalino ansiosa.

Odiavo il suo modo di volermi controllare.

▪️▪️▪️

Osservai la Mercedes-Benz che parcheggiò innocua sul posto riservato al capo del dipartimento ed ebbi in sussulto, - Se l'avesse visto il capo gliela avrebbe fatta diventare una scatoletta di tonno. - pensai mentre Caleb scese con noncuranza dall'auto.

Si chiuse elegantemente il cappotto nero di cashmere e puntò lo sguardo verso l'edificio, nonché me.

Mi alzai lentamente dagli scalini mentre lui con tutta la calma ed eleganza si avvicinava.

Senza logica e razionalità iniziai ad avvicinarmi pure io. La sua andatura sicura e il suo sorriso mozzafiato mi riportò alla sera in cui mi lasciai andare alle sue mani e al modo in cui si prese tutto di me, prosciugandomi senza ritegno per poi andarsene come niente fosse.

Strinsi i pugni dalla rabbia al pensiero e i miei occhi si assottigliarono mano a mano che mi avvicinavo a lui. Lui dal canto suo rispose alla mia espressione infuriata con un ghigno malizioso.

«Sali in auto da sola o ti ci devo portare con la forza?» Mi chiese sorridendo.

Le mie guance diventarono di un colore porpora acceso mentre aprì ancor di più gli occhi sbigottita.

Mi sarei voluta sotterrare.

Il Gusto Del ProibitoWhere stories live. Discover now