Capitolo 6

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Mordicchiai la penna nera in plastica osservando la foto della bambina uccisa. Cosa le hanno fatto, perché prendersela con una ragazzina di diciassette anni. Pensai.

Gli occhi erano spenti, era una foto scattata durante una festa della confraternita, posava con una bottiglia di vodka in mano mostrandola fiera alla fotocamera mentre una sua amica la guardava ridendo, sospirai al pensiero che una ragazza così giovane sia morta.

Sapevo che il mio ruolo era quello di scovare fino all'ultimo grammo di abisso nella vita della vittima eppure rimasi colpita, nonostante i miei anni di esperienza mi fece storcere il naso vedere una ragazza così giovane morire in un modus operandi crudele, l'assassino era astuto e soprattutto da ciò che dedussi era abile nell'adottare un comportamento eristico perciò era in grado di immedesimarsi in qualunque parte e non dare sospetti sulla propria figura.

Buttai di scatto la foto sulla scrivania e con riluttanza presi il fascicolo leggendo i nomi che i genitori della ragazza mi avevano fornito durante il nostro incontro. Ero sicura che uno di quei nomi fosse implicato ma avevo bisogno di prove, tempo e fortuna.

Scrissi sulla lavagna in pellicola trasparente tutto ciò che al momento sapevo della vittima e di chi le fu vicino, un nesso tra loro doveva esserci. Eppure, sentì che stavo sbagliando qualcosa.

«Hope.» Distolsi l'attenzione dalle foto appese sulla lavagna e mi girai trovando Jenny osservarmi in cerca di una risposta.

«Quando sei entrata?» Le chiesi confusa. «Adesso. Eri troppo assorta nei tuoi pensieri per sentirmi probabilmente.» Replicò ridacchiando. Annuì e aspettai che mi dicesse quello per cui era venuta. «I genitori della ragazza hanno chiamato per sapere se abbiamo scoperto qualcosa.» Sbuffai con malinconia perché capivo il loro desiderio di sapere la verità.

Erano passati tanti anni da quando successe il tragico fatto e nessuno ha mai dato loro risposta. «Dì loro che appena sapremo qualcosa saranno i primi a saperlo!» Jenny annuì e se ne andò lasciandomi di nuovo da sola nel mio ufficio.

Mi rigirai verso la lavagna e ripresi a scrivere tutto ciò che la mia mente elaborava in quel momento.

Borbottai arrabbiata il mio dissenso alla vista di Rutherford agire col suo atteggiamento autoritario e scontroso, osservò attentamente, dopo che entrò sbrigativa nel mio ufficio, i miei appunti sulla lavagna e drizzò gli occhiali a lingua di gatto sul naso perfettamente dritto e stretto.

«Lei pensa che questi scarabocchi ci aiuteranno a scovare l'assassino?» Mi chiese e naturalmente scorsi subito l'ironia con cui pronunciò il tutto ma sorvolai sopra a questo dettaglio e mantenni un comportamento professionale.

«Capo, se mi permette, sappiamo che la vittima aveva degli amici poco raccomandabili e il luogo dove fu trovata priva di vita non fa altro che aumentare la mia consapevolezza nel dire che il nome dell'assassino si trova in quella lista.» Finì indicandole il foglio sulla scrivania.

Aprì gli occhi sbigottita e si schiarì la voce, mi aspettai una sfuriata abnorme invece mi lasciò stupita quando si alzò lisciandosi perfettamente le pieghe createsi sul suo tailleur rosso ciliegia. «Detective Anderson, mi fido di lei. Veda di non deludermi!» Dopodiché assunse una postura ancor più dritta e delineata per poi uscire dall'ufficio con la sua solita postura elegante e composta, soffiai tutta l'aria che avevo trattenuto durante il nostro breve scambio di battute.

Rimpiangevo il capo che ebbi a New York poiché era severa ma riconosceva la mia professionalità mentre la Rutherford non era mai soddisfatta del mio modo di lavorare.

Il Gusto Del ProibitoWhere stories live. Discover now