Capitolo 50

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«Perché l'hai fatto?» Sussurrai ansante.

Mi guardò di sott'occhio mentre si sistemava i bottoni della camicia. Il suo corpo era un misto di eccitazione e proibito, una combinazione fatale.

«Non c'è un perché.» Scrollò le spalle.

Lo fissai sbalordita dalle sue parole. Avrei voluto gridare in quel momento o picchiarlo. Le mani mi iniziarono a prudere quando sentì quelle parole pronunciate con una calma impressionante.

Il mio stato d'animo non coincideva con la mia espressione che assunse un'aria indifferente, sorrisi falsamente.

«Esci.»

Si fermò di scatto e mi guardò scioccato, probabilmente non se l'aspettava una mia tale reazione. Forse pensava che mi sarei messa a piangere, a sbraitare o a picchiarlo.

Ma era tutto calcolato, avrei pianto, sbraitato e colpito i muri dopo che lui sarebbe uscito dall'appartamento.

«Eddai, non te la prendere!» Esclamò sorridendo malizioso.

I miei tentativi di rimanere calma però poco a poco diminuivano. Il suo sguardo magnetico mi fece desiderare per un attimo di esserne l'unica protagonista. Volli, incoscientemente, che mi dicesse quanto fossi importante per lui. Mi ero lasciata andare nonostante il passato, nonostante il nostro essere così diversi e nonostante tutti gli ostacoli che ci dividono che superano di gran lunga quelli che ci accomunano.

«Esci.» Ripetei.

Mi osservò ancora per un istante ma voltai la testa guardando un punto indefinito nella stanza, il suo sguardo divenne pesante e crudele da reggere.

«Come vuoi.» Disse con un pizzico di disprezzo che notai subito nella sua voce.

Non mi voltai.

Aspettai finché non sentì la porta principale sbattere furiosamente.

«È meglio così, forse.» Sussurrai a me stessa.

▪️▪️▪️

«Rieccoci qui, le sono mancata?» Chiesi all'indagato con ironia.

Sbuffò sonoramente, la sua espressione era neutrale e la sua compostezza sulla sedia nella camera dell'interrogatorio era disarmante.

Mi sedetti di fronte a lui e al suo sguardo vigile.

«Sappia che abbiamo numerose prove a suo carico, se non decide di confessare spontaneamente le verrà inflitto il massimo della pena. Lei che dice?» Finì incrociando le braccia al tavolo e appoggiandole sul tavolo usurato.

«Dico che deve ringraziare che sono ammanettato. Siete matti, tutti. Pensare che arrestandomi avete risolto?» Sghignazzò, prendendosi gioco di me. «Lei non sa, agente. Mentre noi siamo qui a parlare c'è chi sta facendo il lavoro al posto mio. Non me ne frega nulla se mi metterete in carcere perché non avete concluso nulla!» Finì ridendo sommossamente.

Le mie labbra si aprirono leggermente per lo stupore e inarcai le sopracciglia. Pensai che c'era qualcosa che non andava e mi vennero dei brividi sulla spina dorsale al pensiero che il mio istinto raramente sbagliava.

«Cosa sta dicendo?» Esclamai.

«Tic . . . tac!» Sussurrò sorridendo.

Mi innervosì e tolsi le braccia dal tavolo stringendo i pugni sotto il tavolo per la rabbia.

Un agente fece irruzione nella stanza con uno sguardo allarmato.

«Mi scusi detective però mi è stato detto di avvisarla che c'è appena stato un omicidio!»

«Cosa?» Squittì saltando dalla sedia.

Guardai velocemente l'indagato che si torturava le mani e sorrideva nel frattempo per poi rivolgere l'attenzione all'agente.

«Portatelo in cella, avrà modo di riflettere!» Esclamai per poi uscire di fretta da lì dentro.

«Jenny, le coordinate. C'è stato un omicidio!» Dissi a Jenny che era alla sua scrivania.

Si alzò dalla sedia e mi seguì allarmata.

«Eccole! Le hanno appena mandate, sbrighiamoci.» Disse.

Quando arrivammo sulla scena del crimine rimasi esterrefatta. Il corpo era riverso in una pozza di sangue, non poteva avere più di vent'anni ed era una ragazza dall'aspetto tanto dolce. Il modus operandi mi ricordò quello dell'indagato che si trovava in cella.

«Se lui è in cella, allora chi è stato?» Chiesi a Jenny preoccupata.



Il Gusto Del ProibitoWhere stories live. Discover now