25° Capitolo - È colpa mia?

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«Scott chiama la pattuglia! Una donna sulla diciottesima in casa sua è sequestrata da un uomo non identificato!» Melinda urlò, sentì il suo respiro farsi irregolare preso dal l'adrenalina del momento.

D'altro canto neanche io mostravo segni di tranquillità.

Caricai la pistola, per la fretta un proiettile cadde sul pavimento e tra tutti gli agenti che correvano da una parte all'altra io ero stata l'unica a sentire il rumore sordo del proiettile mentre si schiantava a terra, probabilmente perché ogni minimo rumore in quel momento mi sembrava amplificato venti volte di più.

Maledizione!

Imprecai per via dell'agitazione collettiva sentivo brividi salirmi lungo la spina dorsale e fermarsi nel cranio.

Uno, due, tre.

Uno, due, tre.

Uno, due, tre.

Ripetevo a me stessa quelle tre parole mentre provavo se la pistola era abbastanza carica da funzionare alla perfezione.

L'abitazione della donna mi sembrava familiare ma in quel momento non volevo perdermi in simili banalità e pensare piuttosto a come salvare quella donna senza che fosse ferita o peggio ancora uccisa.

Il megafono che mi avevano dato per comunicare col sequestratore era il doppio del mio viso, la scena poteva quasi far ridere se non fosse per la donna.

Le pattuglie erano già ferme in punti strategici bloccando ogni possibile via di fuga. Scott mi fece un cenno col capo dandomi il via.

«Senta, se esce dalla casa in questo momento faremo in modo che non abbia gravi problemi con la legge!» Tentai con la frase che funzionava sempre per qualunque delinquente ma ciò parve non smuoverlo minimamente anzi si sentì uno sparo provenire da dentro la casa.

«Non faccia sciocchezze, lasci andare la donna, non è questa la soluzione per risolvere i problemi!»

Melinda si avvicinò a me con una cartella in mano ed iniziò a leggermi le informazioni riguardanti l'uomo.

Chris Brown.                    Trentasei anni.
Disoccupato.                     Divorziato.
Precedenti penali: Furto, rapina a mano armata, violenze domestiche, omicidio di primo grado.
Una figlia, Meredith Morgan, dal precedente matrimonio, attualmente vive con la madre in Louisiana.
Abuso estremo di alcool e droga.
Morto il primogenito, Charlie Morgan, nel duemila e sei. Modo: assassinato.

«Melinda, la situazione si complica a questo punto.»

«Ripeto: lasci andare la donna, tutto si può risolvere. Chris, pure io avevo una famiglia, una famiglia che è stata distrutta.» Parlai e sentì come se avessi qualcosa di amaro in gola che non mi permetteva di respirare regolarmente.

Sentì la voce di mia madre risuonare nella testa costringendomi a chiudere gli occhi e tirare un sospiro.

«Mi è stata portata via da chi pensavo dovesse proteggerci. Invece era da lui che ci dovevamo proteggere noi stesse. Siamo state annientate dalla persona che pensavo ci amasse ma tutto si può risolvere non è questo il modo per dimenticare quel che si è.» Sospirai, lasciai il megafono e guardai il suolo grigiastro.

Ancora quella voce!

Alzai di nuovo il megafono e tentai di convincerlo.

«Chris.» Il mio fu un sussurro ampliato dal megafono.

«Ti prego.» Continuai perdendo ormai le speranze sia per me che per quella donna.

Una famiglia probabilmente l'aspetta e tutto quello che avranno sarà la chiamata dell'agente a comunicare loro del decesso della donna.

La serratura della porta principale della casa scattò, le pattuglie alzarono le armi puntandole verso la porta e la paura si impossessò di me come non era successo da anni.

«Fermi!» Gridai. Sperai di vedere uscire da donna dalla casa.

In quel momento già stavo pensando come fare per calmare il sequestratore. Ma quel che vidi mi lasciò senza parole. L'uomo aveva deciso di non fare del male alla donna ma a sé stesso. Lui uscì sull'uscio e lo vidi con gli occhi socchiusi, la bocca aperta leggermente e un sorriso di tranquillità.

La sua maglietta era piena di sangue bucata dal foro di un proiettile, lasciò cadere la pistola a terra e con essa cadde pure lui. Il rumore sordo del suo corpo e della pistola mi fecero chiudere gli occhi cercando di convincermi che non era colpa mia. Che quel uomo non si era ucciso per via delle mie parole.

Quanto sollievo potevo provare nel sapere che un uomo si era ucciso dopo che io avevo parlato anche se una persona ne uscì illesa?

Scott mi raggiunse e mi pose una mano sulla schiena accarezzandomi dolcemente.

«Non è colpa tua.»

Fissai con sguardo spento e assente l'uomo che veniva portato via perché io avevo tolto la vita a qualcuno indirettamente.

«Invece sì, potevo evitare tutto questo.» Sussurrai spostando lo sguardo verso la donna, la quale veniva portata verso l'auto degli agenti avvolta in una grande coperta marrone.

«Ma non l'ho fatto» Il mio fu un sibilo mentre abbassai la testa sentendomi giudicata dall'uomo quanto la donna. Avevo permesso che finisse in quel modo.

Il Gusto Del ProibitoWhere stories live. Discover now