17° Capitolo - Ricordi al profumo di muschio

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A scuola ero la ragazza popolare dell'Istituto, strano a dirsi ma nonostante avessi voti molto alti, non infrangessi alcuna regola, non andavo coi ragazzi, a differenza delle altre matricole ero ugualmente la ragazza etichettata come importante che se ti rivolgeva la parola per più di dieci minuti venivi considerato parte dell'ammasso scolastico.

Conobbi molte ragazze dentro quel edificio che erano ancora vicino a me nonostante fossero passati anni dal mio diploma.

«Hope, dobbiamo interrogare Caleb, lo sai?» Chiese cauta, Melinda.

Annuì cercando di nascondere la preoccupazione che avevo dentro di me.

Erano passati giorni da quando gli avevo voltato le spalle per poi scappare e dopotutto non riuscivo ancora ad andare avanti con la mia vita mentre lui in quel momento probabilmente era insieme alla ragazza di turno.

«Vuoi che ci andiamo solo io e Scott?» Continuò poco dopo, misi il palmo della mano nei capelli appoggiandomi al finestrino dell'auto.

«No. Sono un agente, non devo e non voglio scappare dai miei doveri. In questo momento quell'uomo per me vale quanto un altro indiziato e niente di più.»

Mi ritrovai a ripensare alla mia vita, a quel che ero e che sarei diventata se avessi portato a termine quel caso. Una sfida contro me stessa, dura da vincere ma dolce da assaporare. L'attuale casa in cui vivevo era grande abbastanza per quattro persone, quando in realtà vi eravamo solo io e Poof, il mio giocoso gatto nero e bianco, dall'aria del sapientone che precedeva ogni tuo passo dandoti filo da torcere.

Accarezzai una foto che ritraeva me con mia madre in un bellissimo prato verde, ricordo così bene quella giornata che sembra ieri.

«Adolf, scattaci una foto!» Esclamò mia madre contenta d'essere finalmente nella sua amata natura e stanca di vivere in una città troppo sviluppata per quel che lei era. Mio padre prese la macchina fotografica iniziando a schiacciare tasti alla rinfusa senza sapere quale fosse quello giusto, quando alla fine andai da lui e premetti il tasto giusto mi riservò un sorriso di gratitudine e si prese in giro da solo dicendo che lui e la tecnologia non andavano d'accordo. «Questa foto rimarrà per sempre con me!» Esclamai con un sorriso vero, sentito.

In certi giorni era difficile vivere in quella casa, oramai trascurata dal tempo in cui vi erano troppi ricordi, prevalentemente amari che portavano groppi nella gola e pesi nel petto.

Però ugualmente rimanevo lì dentro pur avendo ricordi crudi, lì ero nata, ebbi vissuto la mia infanzia e la mia adolescenza finché tutto non si ritorse contro di me e finì per odiare me stessa e chiunque mi girasse intorno.

«Amore, Hope ha la recita questa sera, potresti gentilmente lasciare quei fogli per massimo due, tre ore e venire con noi?» Sentì, come sempre, la mamma gridare contro mio padre nel suo ufficio accompagnato dal rumore di qualcosa che si rompeva. Oramai ero abituata a quei litigi, era diventata quasi una routine e non avevo più alcun sentimento di tristezza dentro di me.

Nonostante la mamma cercasse di riallacciare i rapporti con mio padre o perlomeno di fare in modo che fosse più presente per me, lui non mostrava nessun segno di cambiamento, anzi giorno per giorno aumentavano sempre di più le ore passate nel suo ufficio. Mia mamma gli diede un ultimatum, quando lui passava sempre più ore fuori per lavoro e da allora decise di lavorare più da casa purché non abbandonasse i suoi amati fascicoli.

«È grazie a questi fogli se ci possiamo permettere di vivere in tutto questo lusso, Margaret! Quindi evita di lamentarti ogni giorno, hai voluto che cambiassi postazione di lavoro, l'ho fatto! Volevi avere una vita agiata, te l'ho data. Hai tutto e comunque ogni giorno hai anche la presunzione di venire a dare a me dell'ingrato. Prova a metterti tu anche per un solo giorno al mio posto e a guadagnare giorno per giorno il pane in casa, e poi vediamo se ancora ti lamenterai!» Sentì mio padre gridare esasperato come se la colpa fosse tutta della mamma.

Mio padre portava i soldi in casa ed era grazie a lui se avevamo una posizione economica molto buona, direi eccellente ma comunque rimaneva quel vuoto che il denaro non poteva mai e poi mai colmare e cioè l'affetto di una figura paterna.

Fin a quel momento non ebbi mai il coraggio di chiedere a mio padre un abbraccio o una parola di conforto perché nonostante fosse una delle persone più vicine, lo sentivo come s'era una delle persone più lontane dal punto di vista affettivo, se avevo un problema mi era difficile rivolgermi a lui perché avevo paura d'essere giudicata da lui stessa come una ragazzina impotente, debole e che non sapeva farcela da sola.

«Adolf, non ne posso più, hai ragione sul fatto che non ci possiamo lamentare per il denaro ma a tua figlia quali valori vuoi trasmettere? Quali valori potrà mai ricevere tua figlia da parte tua se non mostri verso di me neanche un minimo d'interesse, d'affetto e di comprensione? Hope è mai venuta da te per sfogarsi, per parlare di un suo problema personale?» Rispose la mamma, con un pizzico d'ironia nelle sue ultime parole, sentì per un breve tempo un silenzio tombale che fu poi spezzato dalle urla di mio padre. «Come vuoi che lei venga da me se tu non glielo permetti? Se mi dipingi sempre e comunque come il mostro della famiglia?»

Mio padre cercava di far cadere la colpa su mia mamma per non sentirsi lui stesso in colpa e mi sembrava meschino da parte sua, la mamma non aveva mai detto nulla contro mio padre, anzi, mi spronava per cercare un qualsiasi contatto con lui, e mi sembrava ingiusto che lei in quel momento si prendesse delle colpe che non aveva.

«Tu non sai nulla di Hope! Stai sempre con questi dannati fogli in mano e non vedi quel che ti circonda, Adolf! Fuori da questa porta c'è la tua bambina, quella bambina che per anni abbiamo amato e cresciuto fino a quando tu non hai fatto che chiuderti sempre di più in te stesso e in questo maledetto ufficio!»

Rientrai nell'ufficio che un tempo era di mio padre e mi parve di sentire ancora il suo profumo di muschio che quando raramente mi abbracciava rimaneva sui miei vestiti ed ogni volta piangevo quando mia madre decideva di lavarli.

E mi parve di sentire ancora la voce di mia madre gridare contro mio padre come una forsennata mentre io ero dentro la mia camera ed ascoltavo le loro urla a cui ero oramai abituata ma ugualmente non potevo far a meno di ascoltarle per poi imprimerle nella mia mente e tenerle vive per anni.

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