11° Capitolo - Addio Caleb

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La serratura della porta che scattò mi fece svegliare all'improvviso.

Mi sistemai meglio nel letto rendendomi più comoda e magari senza sembrare un ippopotamo che dorme.

Caleb entrò con l'ennesimo vassoio in mano, lo mise vicino al letto, mi rivolse un'occhiata fugace e si allontanò mettendo distanza tra i nostri corpi.

«Tra meno di due ore arriverà Richer ma ho deciso di lasciarti andare.» Disse senza guardarmi negli occhi. Si avvicinò levandomi le manette e stando attento a non avere troppo contatto fisico con me.

«Tu vuoi che me ne vada?» Sussurrai, suonò più una preghiera che una domanda ma in quel momento non riuscivo a pensare razionalmente.

«Non è importante per adesso ciò che voglio io, te ne devi andare.» Esclamò rivolgendomi uno sguardo truce.

Acconsentì e mi alzai dal letto avvicinandomi a lui, come se stessi camminando su un campo minato.

«Addio Caleb.» Dissi, gli occhi iniziarono a bruciare e prima che scoppiassi a piangere davanti a lui uscì dalla camera.

«Ragazzina!» La sua voce mi fece arrestare e mi fermai di scatto senza girarmi.

«Vuoi andartene?» Chiese, strinsi i pugni e digrignai i denti.

Era tutto maledettamente sbagliato, non dovevo essere ancora lì ma non riuscivo comunque a non fermarmi nel sentire la sua voce. Nonostante quello, dovevo andarmene. Non c'era posto nella mia vita per un noi. Io ero un agente della polizia, lui era probabilmente il capo di grossi traffici illegali d'ogni genere. Ci saremo fatti male, sporcati a vicenda e marchiati delle nostre vite, dei nostri sbagli e di quel che eravamo. Nel nostro destino non c'eravamo io e lui insieme. Nonostante provassi ad allontanarmi, non riuscì a pronunciare quel semplice sì.

Me ne andai, scappai via.

Sentì il suo sguardo bruciarmi addosso, entrare fin dentro le ossa, l'anima. Sentì tanti crack dentro di me e nonostante fossi lontana, sentì che anche dentro di lui si era rotto qualcosa.

Arrivai nel vecchio quartiere in cui vidi per la prima volta Caleb, andai nella mia auto che nonostante fossero passate settimane era ancora intatta. Le mani tremavano, ero visibilmente scossa, non riuscivo a guidare tantomeno parlare correttamente.

Cercai il telefono nell'auto e digitai il numero di Melissa. Provai nel miglior dei modi a spiegarle quel che era successo e la pregai di venirmi a prendere, mi rispose che sarebbe arrivata in meno tempo possibile e di non muovermi da lì. Vidi l'auto di Melinda arrivare ed entrai frettolosamente appena si fermò davanti a me.

«Hope!» Melissa continuò a gridare il mio nome quasi rompendomi un timpano, quando capì di avere la mia più totale attenzione continuò a parlare.

«Dove sei stata? Ti stavamo cercando, pensavamo che ti avessero rapita!»

Nella mia testa pensai che ero veramente stata rapita ma non riuscì a dirglielo, sentivo dentro di me un macigno premere insistentemente,

«Io semplicemente . . . non lo so» Balbettai.

«Volevo starmene un po' da sola.» Mi osservò attentamente, cercando qualcosa che facesse capire sé stessi mentendo.

Prese il telefono e chiamò Scott dicendogli che stavo bene. Iniziai a vedere da lontano la mia casa e non mi sembrava ancora vero che ero veramente lì.

«Domani torni?» Chiese lasciando intendere l'ufficio.

Annuì, scesi dalla macchina mentre la salutai e mi rifugiai in casa.

Ebbi paura, non avevo più nulla, di quel che mi ero portata con me, mi erano rimaste soltanto le chiavi e il telefono, le manette e la pistola rimasero da Caleb.

Pensai ad una scusa plausibile da rifilare al capo il giorno dopo per richiedere una nuova pistola e delle nuove manette.

Mi lasciai andare un'imprecazione, consapevole del fatto che il capo mi avrebbe sotterrata viva appena l'avrebbe saputo. Entrai in bagno e lasciai scorrere l'acqua, aspettai che si riempisse la vasca e nel frattempo preparai il cambio.

Dovevo togliermi il suo odore di dosso.

Entrai piano nella vasca, sentendo bruciare la pelle per via del cambiamento improvviso di temperatura.

Immersi la testa per bagnarmi completamente e riemersi, abituandomi finalmente al calore dell'acqua.

Sentì comunque il bruciore non andare via ma la causa non era l'acqua, sentivo ancora le sue mani su di me, ad ogni parte del mio corpo che sfioravo la pelle bruciava, come se qualcuno mi avesse fatto venire dei lividi irreparabili e dolorosi. Sobbalzai leggermente quando sentì il telefono vibrare.

L'afferrai ed aprì la casella dei messaggi.

Il numero era sconosciuto e non seppi cosa aspettarmi. Sentì il cuore arrivarmi in gola al solo pensiero che potesse essere Caleb.

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Digrignai i denti e bloccai il numero. Riposi il telefono sul piano marmoreo della vasca e chiusi gli occhi, un po' di relax non avrebbe fatto male.

Lo squillo del telefono mi fece aprire di scatto gli occhi, lo afferrai rispondendo senza guardare il mittente.

«Hope, stai bene? Ti abbiamo cercata dappertutto!» Capì che era Scott e con dispiacere risposi.

Consapevole del fatto che Caleb avesse voltato pagina, quello che avrei dovuto fare pure io.

«Bene, Scott, volevo starmene per un po' da sola. Ero andata per un po' da mia zia. Scott, potresti prendere tu la mia auto? L'ho lasciata nel Greenwich, all'improvviso non partiva più e mi son dovuta far venire a prendere. Le chiavi te le darò appena passi da me.» Scott acconsentì dicendo che sarebbe passato domattina per andare insieme a lavoro, chiusi la chiamata dandogli la buonanotte.

L'acqua ormai era diventata fredda, uscì asciugandomi per poi vestirmi.

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