Capitolo 35

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Sentì suonare il campanello e mi affrettai credendo fosse il corriere.

Mi stavo sistemando per scappare in ufficio visto che, come sempre, ero in ritardo. Presi i due lembi del laccio della maglietta sul petto e iniziai a stringergli per creare un fiocco mentre mi apprestavo ad aprire la porta.

«Salve, lo lasci pure qui!» Dissi senza guardare finendo di allacciare il fiocco.

«Cioè?»

Alzai di scatto la testa al suono di quella voce rimanendo impietrita nel vedere Caleb davanti a me guardarmi con la sua solita espressione sfrontata.

«Caleb . . .» Sussurrai.

La borsa mi scivolò dalle mani e il suono mentre si schiantò contro il pavimento lo sentì amplificato.

Credetti di svenire davanti a lui.

Caleb mi guardò con il suo solito ghigno e senza chiedermi il permesso entrò dentro l'appartamento, boccheggiai mentre chiudevo la porta come se fossi in trance e lo guardai che si sedeva con tranquillità sul divano.

«Che ci fai qui?» Esclamai con nervosismo.

Schioccò la lingua e mi ammonì con un dito. Era snervante a tal punto che mi venne una voglia immensa di staccargli la testa all'istante.

«Eri di fretta?» Rispose prendendosi una mela dal cestello posto sul tavolino di vetro.

Roteai gli occhi e presi la borsa che era ancora per terra per poi metterla su una spalla. Feci finta che la sua presenza non mi destabilizzava ma era difficile fingere con Caleb che analizzava ogni mio passo.

«Sì e tu sei d'intralcio quindi gradirei che ti levassi dalle scatole.» Sbottai sorridendo falsamente.

Scoppiò a ridere dal nulla e lo guardai stranita.

Mi chiesi se avevo qualcosa che non andava nell'aspetto e mi controllai allo specchio accanto a me.

Continuò a ridere noncurante della mia confusione e mi catapultai su di lui colpendolo con la borsa per la rabbia.

«Si può sapere cosa trovi di divertente in quello che ti ho detto?» Gli dissi mentre lo colpivo.

Si fermò dal ridere ed io dal colpirlo ma appena mi guardò in faccia riprese di nuovo a ridere.

Sbuffai amareggiata non sapendo più cosa fare.

All'improvviso sentì due mani stringermi i fianchi e mi ritrovai a cavalcioni su Caleb che mi fissava con malizia.

Le sue labbra erano a pochi millimetri dalle mie e potevo sentire i nostri battiti combaciare mentre pensavo che quella situazione non andava affatto bene.

«Sei impazzito?» Esclamai cercando di liberarmi dalla sua presa.

Si avvicinò ancora di più e credetti di non riuscire più a sopportare quella distanza che stava uccidendo le mie povere labbra che esigevano il suo sapore.

«Ridevo perché sei davvero buffa quando tenti di farmi paura.» Sussurrò sorridendo.

Approfittai del fatto che aveva allentato la presa e sgusciai fuori dalle sue grinfie.

Presi a camminare avanti e indietro nella stanza mentre mi toccavo freneticamente i capelli.

La sua presenza mi destabilizzava.

Odiavo che appena si ripresentava davanti a me riusciva a farmi cedere.

Il suo modo di fare, di toccarmi e di parlarmi mi facevano dimenticare tutto ciò che pensavo di lui prima di vederlo.

«Mi stai facendo venire il mal di testa.» Esclamò all'improvviso Caleb guardandomi con un espressione annoiata.

Mi fermai di scatto trucidandolo con lo sguardo.

«Tu non sai cosa vuol dire alzarmi la mattina, fare finta che tu non esista e svolgere le mie stupide giornate in uno stupido ufficio con una stupida sergente che mi sta alle grinfie!» Urlai in prenda al nervosismo puntandogli un dito contro.

«Sai quanto sia difficile per me sapere che tu probabilmente te ne vai con qualche bionda perfetta a fare chissà cosa mentre io sto rinchiusa in un cazzo di ufficio a mangiare del fottuti noodles e a deprimermi per la mia situazione sentimentale di merda?» Continuai.

Lanciai la borsa contro di lui che prontamente la schivò e ringhiai per la furia.

Si limitò ad osservarmi stupito mentre scleravo e parlottavo girovagando nella stanza come una forsennata.

«Per una volta nella tua vita scendi da quel fottuto che ti sei creato, non guardarmi come se fossi una pazza perché nessun sano di mente riuscirebbe a rimanere tale rimanendoti accanto!»

«Non posso sopportare i tuoi sbalzi d'umore continui. Un giorno te ne vai, l'altro torni. Distruggi la mia quiete. Vuoi essere un uomo? Allora prendi in mano la tua vita perché in non posso più sopportare tutto questo.» Sentì il fiato sempre più corto e mi accasciai sullo sgabello della cucina col cuore che batteva a mille.

«Non posso. . . » Sussurrai infine.

Il Gusto Del ProibitoWhere stories live. Discover now