27° Capitolo - Bentornata all'inferno, piccola

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Sorseggiavo il mio infuso di tè verde quando il campanello iniziò a suonare ripetutamente.

Lasciai la tazza sul piccolo tavolino davanti al divano e aprì la porta.

«Hope, stai bene?» Scott si precipitò dentro con il respiro affannato come se avesse fatto una corsa campestre.

«Secondo te?» Sorrisi amaramente, mi rimisi sul divano con la mia amata tazza della Nickelodeon.

Si avvicinò e si sedette accanto a me, si lasciò andare un lungo sospiro ma c'era qualcosa di diverso in lui.

A miglia di chilometri si vedeva che era successo qualcosa che l'aveva destabilizzato parecchio.

«Scott, è successo qualcosa?»

«No, Hope. Non è successo nulla.»

Posai la tazza sul tavolino e sospirai. Odiavo quando le persone mi mentivano spudoratamente.

«Scott se vuoi ancora prendermi in giro, apri quella porta ed esci!»

«Melinda ha detto che non gli sta bene la nostra relazione e che prova dei sentimenti verso di me.»

Scott mi guardò, attese al lungo una mia reazione, una scenata di gelosia ma quel che mi uscì fu un sussurro appena udibile, simile ad un ah.

Mi sentì improvvisamente in colpa, Melinda provava dei veri sentimenti per lui mentre io cercavo di autoconvincermi di provare qualcosa. Ero così egoista.

Un altro difetto da aggiungere alla mia lunga lista.

«Non - Scott.»

Non sapevo cosa dire, come dirgli che non provavo altro per lui se non riconoscenza per tutto quello che aveva fatto per me.

«È meglio se vai da Melinda.»

Mi alzai stringendomi nel piumone, andai in cucina e posai la tazza nel lavandino.

«Hope, no. Non ti arrabbiare, io -»

Lo fermai prima che continuasse, non volevo sentire quel che mi stava per dire, mi sarei sentita ulteriormente in colpa.

«Scott, non capisci, non sono gelosa. Non ho nessuna forma di gelosia o di rabbia verso Melinda. Non fraintendermi, ti sono riconoscente per tutto quello che hai fatto per me ma non provo altro che questo. Mi spiace.» Le ultime parole furono dei sussurri strozzati.

Scott indietreggiò come se l'avessi colpito. Sentì le lacrime scendere lungo il mio viso.

«È per lei? Stai dicendo tutto questo per lei, vero?» Mi chiese, era come se cercasse di aggrapparsi a qualunque cosa potesse dargli una ragione che non gli portasse dispiacere.

«No, avrei dovuto dirtelo prima ma solo adesso ho capito che il mio era un continuo autoconvincermi di provare qualcosa per te quando non è così.»

A quel punto scosse la testa e strinse i pugni.

«Vai a quel paese Hope!» Esclamò, prese la sua giacca nera di pelle ed uscì dalla casa, sentì la porta principale sbattere con potenza inaudita.

L'ho fatto per il tuo bene, Scott. Spero che tu possa comprendere.

Mandai il messaggio sperando che non mi odiasse d'ora in poi anche se non gli avrei assolutamente dato torto se l'avesse fatto.

Hope Anderson, questo pomeriggio ti aspetto a casa mia.

Caleb, cosa vuoi ancora da me?

Sospirai, dovevo andarci, potevo estrapolare informazioni e magari risolvere l'ultimo caso di omicidio cosicché il capo non mi stesse più col fiato sul collo.

Suonai ripetutamente il campanello visto che fuori stava piovendo a dirotto.

La porta si aprì e Caleb mi apparve davanti sorpreso di vedermi.

«Già sei qui?» Chiese, più a sé stesso.

Annuì e mi feci spazio accanto a lui, entrai nel soggiorno, mi sedetti comodamente sul divano in pelle ed aspettai che iniziasse a parlare.

«Se sei venuta pensando di estrapolare informazioni, mi spiace dirti che non saprai nulla da me oltre quello che vi ho raccontato.» Cercò di trovare il mio punto debole accennando al fatto che nell'interrogatorio c'era stato pure Scott con me.

Scrollai le spalle mostrandomi del tutto indifferente alla sua frecciatina.

«E allora perché sono qui?»

«La donna in ostaggio che avete salvato è mia zia. A breve tornerò nel mio appartamento quindi ti chiedo di stare attenta a quel che fa, dove e soprattutto con chi. Non posso dirti altro, mi basta sapere che lei sarà al sicuro una volta che io avrò lasciato questa città.»

«Dimmi perché dovrei farlo!» Mi alzai puntandogli un dito contro.

«Non posso dirti altro, come ho già detto ma so che il tuo senso di protezione verso le persone indifese farà sì che tu accetti.» Mi rivolse uno sguardo divertito, sicuro di sé.

«Lo farò soltanto perché sono migliore di te. E preferisco salvare che ferire.» Si portò la mano all'altezza del cuore con fare teatrale e con uno sguardo fintamente dispiaciuto.

«Ouch. Mi hai fatto male signorina Anderson.»

Sgranai gli occhi al sentirlo pronunciare il mio cognome. Non l'aveva mai sentito da me o da qualcun altro che potesse chiamarmi per cognome in sua presenza.

«Come sai il mio cognome?» Chiesi titubante.

«Io so tutto.» Mi sussurrò all'orecchio.

Sentì il corpo surriscaldarsi, le mie guance andarono a fuoco, iniziai a non capire più nulla se non a vedere doppio, poco dopo le mie palpebre si appesantirono e caddi in un sonno profondo.

Prima di cadere nel buio totale sentì Caleb sussurrare tre parole che mi fecero venire voglia di urlare.

«Bentornata all'inferno, piccola.»

Ma nel buio più totale quel che si poteva fare era arrendersi e stare al gioco del subdolo diavolo travestito da tutto quello che più desideravi.

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