L' INIZIO

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I PARTE

Erano ore ormai che ero partita alla ricerca di questa cosiddetta città fantasma, di cui i miei genitori addottivi mi avevano parlato giorni prima,  nei quali avevo scoperto l'indizio per fare chiarezza sulla mia infanzia.
I tratteggi centrali alla strada erano ormai fusi in un'unica riga bianca, da quanto sfrecciavo con la mia auto.
La strada sembrava non finire mai, quasi non volesse aiutarmi ad arrivare a destinazione.
Era circondata da entrambe i lati da un fitto bosco di pini, oscuro, che ti dà il brivido del mistero. Bosco, nel quale era immersa la mia città natale, che aveva portato molti problemi nella comunità, per via di insolite sparizioni e uccisioni.
Spero di trovare qualcosa che mi riporti a quei lontani e fugaci tempi.

Alle porte della città, la strada iniziò a ramificarsi in varie vie formando quartieri di case tutte uguali, consumate dal tempo.
Il solito effetto città fantasma.
Arrivai a un vecchio parco giochi, con varie giostrine ormai arrugginite.
Mi fermai lì accanto, scesi e richiusi la macchina, per poi avviarmi verso quella piccola area di svago per bambini.
Quel giorno era particolarmente nuvoloso, il tempo che preferivo.
Soffiava un vento gelido, segnale d'inizio inverno, fortuna che mi ero messa il trench grigio.
Attraversai la strada e un rumore metallico mi attirò.
Un cigolio sovrasta il rumore delle foglie secche, che strisciano sul cemento freddo della strada.
Proveniva dall'unica altalena ancora rimasta appesa, che ondeggiava al vento.
Dei brividi scossero la mia schiena.
Mi sedetti su di essa e la vista iniziò a offuscarsi, diventando di un bianco lattiginoso sempre più accecante.

Ero seduta sulla stessa altalena, nello stesso parco, della stessa città.
Ma era cambiato qualcosa.
Il tempo.
Le giostre erano come ringiovanite, dai colori sgargianti, ed io mi sentivo più piccola.
Il mio primo ricordo d'infanzia.
Mi alzai sentendo una voce femminile urlarmi da dietro le spalle, con fare scocciato.
Voltandomi vidi una donna venirmi incontro, prendermi con forza il braccio e trascinarmi via.
La mia lontana figura era assente, con sguardo fisso e indifferente.
-Quante volte te lo devo dire di non uscire nel cuore della notte!!! E poi per cosa?! Venire qui a dondolarti?! Ogni volta mi domando se sei veramente mia figlia...-
Era mia madre?!
-Quando arriviamo a casa ti becchi delle belle sberle! E se esci un'altra volta giuro che ti rinchiudo di nuovo!-
Rinchiudermi dove?!
Qui qualcosa non andava per il verso giusto...sento che c'è un'ombra scura dietro tutto questo.
Qualcosa copre gli occhi di quella figura femminile...una benda nera.

Il mio sguardo si posò sulla distesa di alberi che avevo davanti, come incantata, forse il mio passatempo preferito da quello che avevo capito, anzi ricordato.
I colori iniziano a tornare, si schiariscono e diventano decisi, la realtà torna nitida.
Mi accorsi che il cielo era andato ormai scurendosi e decisi di andare a riposare in macchina, prima che il gelo ricopri questo luogo silenzioso e desolato.
Nel frattempo avrei pensato a quel flashback, così strano e poco chiaro.
Il giorno dopo sarei andata a visitare la scuola, magari con l'intento di strappare qualcosa da quelle mura, che ho sempre pensato il modo perfetto per la prigionia di noi adolescenti.
Dove degli adulti ci insegnano ad essere uguali, a farci rimanere nella norma, uscendo poi con poche aspettative per il futuro.
Ma almeno nella mia scuola avevo scoperto uno dei miei vizi preferiti, divorare i libri.

Don't forget my eyesWhere stories live. Discover now