NON È PARADISO

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Cammina in quei lunghi corridoi bianchi e odoranti di disinfettante.
I vestiti umidi e freddi si attaccano alla pelle tremante. Passando veloce sotto le luci a neon bianche, sbattendo contro altre persone dirette altrove. Non sa dove stia andando, le avevano solo detto di aspettare nella sala d'attesa, ma i suoi nervi non le permettono di starsene calma.
Si era alzata dalla sedia in plastica rossa, si era nuovamente avvicinata all'infermiera, aveva chiesto informazioni sulla stanza in cui tenevano sua figlia e non ricevendo la risposta che voleva sentire se ne era andata, aveva iniziato a correre per i reparti decisa a cercarla ovunque.
Le finestre che scorrono al suo fianco, lasciano trapassare il gelo che sta calando sulla città. Un buio pesto, illuminato dai fulmini che spaccano il cielo e colpiscono la pioggia che cade a secchi.
Sente sotto i piedi i movimenti di tutti i presenti nell'edificio, riesce a sentire i rimbombi dei tuoni sulla sua pelle e sotto le scarpe, che scivolano sul pavimento piastrellato. Con il fiato corto, la gola stretta in una morsa invisibile ed amara. Gli occhi ancora lucidi per quella notte, che scorre fredda all'esterno di quelle spesse pareti.
L'immagine della figlia tremante e agonizzante le riappare di continuo e senza sosta nella mente.
Le persone che incrocia non la guardano, i pochi che lo fanno la ignorano, compresi gli infermieri. Dev'essere normale vedere una donna, o meglio una madre preoccupata ed in ansia per sua figlia? Si chiede, svoltando l'angolo del corridoio si ritrova di nuovo nell'ennesima sala d'attesa. Sbuffa esausta e con le forze al limite, pensando alla figlia si domanda dove l'abbiano portata e che cosa le stiano facendo. Si sente affogare nell'ansia che le stringe il petto, teme per il futuro e per quello che potrebbe accadere.

Un fulmine si scaglia a terra provocando poi un rimbombo per tutto l'edificio. Delle leggere urla di spavento si alzano nell'aria, tutti i pazienti sussultano, il rumore copre il suono di una voce che la sta chiamando.
Immobile con le mani sull'addome, riprende fiato e cerca di calmarsi. Dei passi pesanti, sente qualcuno correre alle sue spalle ma non ci fa caso.
Un'altro lampo illumina le finestre nere. Nessun tuono si ode ma il nero prende il sopravvento su tutto.
Delle urla di paura riscaldano l'aria già troppo bollente per la donna. Delle luci lattiginose si accendono agli angoli delle pareti, le luci di emergenza rischiarano quel poco di oscurità che si è avvinghiata all'interno dell'edificio.
-signora, è lei la madre di Sonora Webster?- una voce risuona alle sue spalle, sembra aver corso. La donna sussulta, voltandosi si ritrova faccia a faccia con il dottore a cui aveva affidato il corpo freddo della figlia.
Guardandolo bene le sembra diverso da come lo ricordava, il buio di quella notte aveva oscurato in parte il suo volto e le luci rosse e blu contornavano i suoi lineamenti. Quella notte l'aveva fatto sembrare più vecchio del reale.
Ora osserva il suo volto bagnato, non dalla pioggia che aveva affrontato ore prima ma dal sudore che gli scivola dalla fronte. Lui prende fiato velocemente, per la corsa che aveva fatto raggiungendola. A questo dettaglio, la donna si chiede da quanto la stesse inseguendo.
-si, sono io- risponde con voce sottile ed impaziente, mentre i suoi occhi cercano di strappare dal volto del ragazzo qualche informazione. Lui sospira sollevato, e con voce roca e asciutta invita la donna a seguirlo.

Si dirigono in direzione di un corridoio più buio e stretto degli altri. Nel momento esatto in cui imboccano la strada, le luci a neon si riaccendono e quelle d'emergenza si spengono.
La madre ha i pensieri rivolti alla figlia, non bada al blackout e alle urla della gente che accompagnavano il buio. La luce bianca trascina fino al di fuori delle finestre l'oscurità, come scacciata via dall'abbaglio luminoso del paradiso.
La donna segue il ragazzo, con lo sguardo incollato alla sua schiena coperta dal camice bianco.
I passi sempre più corti e accelerati, ha paura di perdere la via che sta percorrendo pur avendo il dottore davanti a se.
Attraversano quel corridoio vuoto passando un cartello che indica il reparto "neurologia". Le stanze nel corridoio sembrano essere infinite, porte azzurro chiaro tengono al sicuro i pazienti addormentati. Non si sente alcun rumore, un silenzio gelido copre le loro figure.
L'uomo continua a camminare fino a fermarsi davanti ad una porta socchiusa, la numero 6 per precisione.
La madre lo affianca e nota esserci un documento, infilato in un apposito contenitore di plastica accanto alla porta.
Il dottore lo prede estraendolo, afferra la maniglia grigia ed apre lentamente la porta, come attento a non far svegliare i pazienti all'interno della stanza.
-ho insistito perché la lasciassero da sola, siccome lungo il tragitto in ambulanza si agitava ancora nel sonno- spiega a bassa voce rivolto alla donna, mentre richiude dietro di se la porta.
Nora rimane senza fiato nel vedere la figlia dormire tranquillamente su quel lettino bianco. Si fa avanti, fino a prendere con delicatezza la mano immobile e pallida della ragazza, a cui sono stati attaccati fili per la flebo. Sfiora la sua pelle liscia e morbida, tiepida e bianca. Non sente più la figlia tremare, esser scossa dai ripetuti impulsi nervosi. Non sente alcun mugolio di dolore provenire dalle sue labbra, che ora sono rosate e solcate dalle ferite quasi guarite. Vede le sue palpebre immobili, i suoi occhi non tremano più sotto la pelle. Il suo respiro è regolare, come segnala il monitor che batte e suona a ritmo del cuore.
Sembra non esserci alcun incubo che anima e inquieta la sua mente.
-da quello che abbiamo dedotto nel tragitto fino all'ospedale, vostra figlia era scossa durante il sonno, i nervi trasmettevano elettricità a tutto il corpo facendo muovere senza controllo gli arti- spiega, sussurrando alla donna le informazioni che hanno ricavato in queste ore. Lei osserva la ragazza tranquilla e serena, quasi non ci crede che ore prima teneva stretta fra le braccia la stessa persona ma dal corpo fuori controllo.
Che sarà successo a mia figlia? Si domanda, sempre più stranita dagli avvenimenti. Guarda la sua espressione addormentata, sembrerebbe quasi fare un bel sogno. Un leggero sorriso solca le labbra sottili della ragazza, un sorriso quasi impercettibile.
-abbiamo controllato tutti i parametri vitali, oltre ad aver avuto un incubo terribile Sonora non sembra avere dei problemi- informa in fine il dottore.

Don't forget my eyesDove le storie prendono vita. Scoprilo ora