BUONA NOTTE

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Scalza, la bambina cammina per l'umido marciapiede, avvolta dalla foschia notturna.
Assaggia l'aria gelida e selvaggia, che trasuda la foresta, prima di imboccare il vialetto verso la porta di casa.

Una piccola dimora, forse troppo grande per sole due persone, dalle pareti rosa chiaro che andavano sbiadendo. Le finestre sbarrate da ante in legno verde, il tetto scuro di un rosso terracotta per le tegole concave.
Lei e i suoi genitori erano andati ad abitarvi a metà inverno che, stranamente in quella piccola cittadina, sembrava essere attutito da un'afa gelida che al mattino bagnava i perfetti prati verdi delle vie.
Il padre O'Connor, l'aveva sempre detestato per la sua assenza e mancanza di affetto verso la madre e la figlia, aveva affittato la casa per via del suo lavoro apparentemente "di super segretezza".
Lei era rimasta sola insieme all'amata madre che cercava di andare avanti.
Erano giorni ormai che il padre non si faceva vivo, nemmeno una telefonata e neppure un singolo messaggio.
A lei stava bene, ma non osava dirlo per paura di sembrare troppo crudele nei confronti del genitore scomparso.

Girando lentamente la maniglia della porta in legno di quercia lucido, si affrettò ad entrare e a richiudere alle sue spalle l'entrata. L'interno era ancora avvolto dall'oscurità, come l'aveva lasciato un'ora fa.
Togliendosi dalla fronte le perle di acqua che si erano andate ad appoggiarsi, si avviò verso le scale che portavano al piano superiore, dove vi era la sua cameretta e la stanza ove dormiva la madre ignara...o quasi.
Ancor prima di mettere il piede nudo sul primo scalino, una luce giallastra le abbagliò la vista.

In cima alle scale stava sull'attenti la madre, con le mani pesantemente appoggiate ai fianchi, che la guardava con fare esausto e accusatorio.
Una donna sulla quarantina, normalmente alta e dalle curve un po' troppo pronunciate. I capelli castano chiaro le cadevano riccioluti, per via dell'umidità, sulle spalle curve. Gli occhi, socchiusi per il sonno, di un verde marroncino come se vi fosse della terra fertile al loro interno.
Vestita di un pigiama fiorito che copriva la sua pelle chiara e ricolma  di lentiggini, nate per le troppe insolazioni prese da bambina al mare.
-sai che ore sono? Dov'eri Sonora?- domanda la donna cercando di imitare una voce severa, ma ciò le esce di bocca con fare annoiato.
La piccola si incammina lentamente con la testa bassa, pronta per un'altra ramanzina, salendo le scale per raggiungere la madre.
-ero al parco- risponde con vocetta colpevole.
La donna sembra rilassarsi ma un fiume di pensieri inizia a sgorgare dalla sua mente.
-ti piace così tanto il parco, eh?- fa eco alla figlia, chiudendo gli occhi gonfi per le occhiaie. Ormai sa bene che non potrà più vietarle di andarci, sia di giorno che di notte.

Da prima, quando si erano trasferiti, la ragazzina cominciò ad andare al parco inizialmente per divertirsi di giorno, ma con il passare dei giorni, sola a dondolarsi sulle giostrine colorate, comprese che nessuno avrebbe giocato con lei. Così si lasciò andare alla solitudine, mentre sua madre la osservava da lontano seduta su una panchina a leggere l'ennesimo libro.
Poi una notte, la donna alzatasi dal letto per un forte dolore, passando davanti la camera della piccola notò dallo spiraglio della porta che il letto era vuoto. Presa da un improvviso colpo di inquietudine, cercò la piccola figura della figlia per la casa. Non trovandola e non sapendo dove andare a guardare, chiamò a rapporto i suoi pensieri: pensò alla scuola, alla biblioteca, al bar dove andavano a fare colazione e, infine, al parco.
L'unica possibilità realistica, era il parco.
Si diresse lì, con passo svelto per l'agitazione, e trovando la bambina vestita solo della sua leggera veste le si sedette accanto.

Da quella notte non riuscì più a dormire tranquilla, temendo che la piccola si facesse male o che si cacciasse in guai seri. Cercò di destarla dal andarci di notte, ma niente, a quanto pare era divenuta irremovibile col passare dei giorni.
Non capiva proprio il suo comportamento così insolito.
-no, è chi ci trovo che mi piace- rispose la piccola alla madre, facendola sussultare visto che si era persa nei suoi pensieri.
Sonora si diresse, barcollante per la stanchezza, alla porta della sua camera da letto.

Entrambe vi entrarono, la piccola per mettersi a dormire e la madre per imboccarle le coperte e assicurarsi che non sarebbe uscita di nuovo.
Circondate da pareti azzurre e dal mobilio in legno moderno.
La donna, sedendosi accanto alla figlia distesa sul letto, non aspettava altro che vedere i suoi piccoli occhi chiudersi.
-hai avuto notizie da papà?- chiese la piccola, contro voglia, vedendo il volto distrutto e in pensiero della madre.
Lei pur odiandolo, ancor di più della figlia, temeva che gli fosse successo qualcosa anche se si augurava la sua morte, vista la brutta vita che aveva passato con lui.
Una vita che non avrebbe voluto augurare alla figlioletta.
-no, ancora nessuna...-disse preoccupata, ma sotto sotto indifferente.

Lo sguardo della donna vagò per la stanza.
Si accorse poi di una cosa.
Sapeva di avergliela vista in mano quando stava salendo le scale, ma non riusciva a capire da dove l'avesse presa o trovata.
Una rosa nera non è da tutti i giorni, pensò la madre.
-chi te l'ha data la rosa Sonora?- chiese continuando a scrutare il fiore adagiato sul comodino.
-una mia amica...-balbettò tra il sogno e la realtà.
La donna non si spinse oltre, vedendo il volto della piccola rilassarsi e le palpebre adagiarsi.
Le rimboccò le coperte, le diede un bacio leggero sulla fronte e si rialzò lentamente per non disturbare il suo sonno.

Accostò piano la porta della sua camera e si diresse in quella accanto.
Si distese sotto le coperte fresche, lo sguardo le rimase acceso ancora per un istante titubante, immersa nei pensieri.
L'indomani avrebbe fatto una sorpresa alla piccola, e così quella sua "nuova amica", o chiunque altro fosse, non avrebbe potuto farle nulla di male.
Perché era questo che temeva di più.

Le piacerà, fu il suo ultimo pensiero prima di lasciarsi andare nel mondo dei sogni.

Don't forget my eyesWhere stories live. Discover now