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In una enorme casa di periferia, lontana dal chiasso del centro, circondata dai campi e dagli alberi, la ragazza esce di casa con in volto un sorriso allegro, pronta a salire sulla sella della sua bici di città e dirigersi verso il liceo.
Percorre pedalando veloce il viale di cemento, seminato di buche, diretta  dall'altra parte della città.

È un giorno come gli altri.
Il sole e la sua luce gialla, riscaldano l'aria che circonda la cittadina di campagna. Il quarto giorno di primavera, la poca popolazione si prepara a far rifiorire la bellezza di quelle terre. I campi nudi dai colori giallastri e marroni, se ne stanno in silenzio a scaldarsi sotto il sole. Le macchine iniziano come solito a girovagare per le strade, dirette a lavoro, al mercato in piazza oppure dirette a scuola.
I negozianti girano il cartello d'entrata mostrando la scritta "open", le porte delle panetterie e dei bar fanno fuoriuscire profumi dolci di colazione, tutto ad invogliare i passanti. I piccoli animali risvegliati dal rigido e freddo letargo, tornano a scorrazzare sugli alberi, a volare nel cielo e a nuotare nel fosso che circonda il centro cittadino.
Tutto sembra esser normale in questa piccola città.

Lei sfreccia sul ciglio della strada, osservando dal basso le alte mura medievali che stavano a protezione del centro, e che ora non sono altro che un'attrazione turistica. Ma non per questo la cittadina è nota, pur essendo le migliori rimaste e meglio conservate.
La ragazza gira giù per una via inseguita da altre auto e bici, anche loro dirette verso le varie scuole.
Passa davanti agli altri scolari che se ne stanno stanchi, mentre camminano sui marciapiedi chiacchierando. La maggior parte diretti nelle solite e noiose scuole, ad affrontare le lunghe ed interminabili ore di lezione. A starsene a studiare per cinque anni le stesse solite materie, con eccezione per quelle che si aggiungono con gli indirizzi.
Tutto ciò risulta estremamente noioso agli occhi della ragazza.

Alla vista della facciata del liceo il sorriso le si allarga perché lei, a differenza degli altri, si dirige con felicità verso la scuola che ama. Pronta ad affrontare qualche ora noiosa delle classiche materie e due o tre di svago e divertimento, con una matita o chissà, magari quest'oggi con un pennello in mano.
Ebbene sì, la ragazza ne va più che fiera della sua scuola e se ne frega altamente dei giudizi e delle dicerie, che girano nella società.
Lega la bici nel piccolo parcheggio che vi è davanti alla scuola, si sistema la leggera giacca nera e con lo zaino in spalle si dirige verso l'entrata. Passando davanti al posto bici, dove gli studenti se ne stanno a fumare e a scambiarsi la merce, si mise il dorso della mano davanti al naso finché non oltrepassò il cancello.
-finalmente sei arrivata- una voce femminile che conosce benissimo, la fa ridere sotto i baffi. I suoi occhi grigi incontrano quelli marrone scuro, tanto odiati dalla sua amica ma adorati da lei, visto che ne coglieva la dolce sfumatura ambrata contro la luce del sole. La ragazza che le sta davanti è una sua compagna di classe, con cui aveva legato a metà anno della prima.
-scusa, stamattina mia mamma mi ha trattenuta con una colazione fuori dal normale- le da in risposta, affiancando l'altra e incamminandosi verso le porte del liceo. Quella mattina la madre l'aveva svegliata con un abbondante colazione, reputata strana da lei visto che non era abituata a mangiare granché al mattino.
-carina la treccia- si complimenta con la compagna, osservando la capigliatura. I suoi capelli ramati sono intrecciati in una treccia semplice che le ricade corta davanti, vari ciuffi lisci sono sfuggiti dalle ciocche più spesse e se ne stanno liberi. Questo dettaglio va ad accentuare quel suo carattere vivace e dall'aria ribelle. Di lato la guarda e le sorride.

Finita la terza ora al suono della campana, gli studenti si riversano fuori dalle aule, per i corridoi e in atrio. Le due, in mezzo al gruppetto di amici della classe, escono da un'aula fumante di ben due ore noiose di italiano. Dirigendosi di sotto, al piano terra, la ragazza dai capelli rame lancia uno sguardo assassino.
-non la sopporto proprio- dice tra i denti stretti.
-di chi parli?- chiede l'altra seguendo il suo sguardo.
-di chi credi stia parlando? Di Jessica no!- le risponde l'amica a bassa voce e con tono velenoso.
-non sei l'unica ad odiarla, Sarah- accompagna il suo odio, maledicendo la persona in questione.
Jessica, non che la solita snob della classe dall'alta considerazione di se, una persona egoista che non fa altro che parlare di vestiti, di ragazzi e di altre cose futili. Che se ne va in giro durante le lezioni, in cerca del ragazzo di turno da salutare con la sua solita voce da oca. Sempre accompagnata dalle sue amiche, ancor più stupide della prima, che se ne stanno costantemente a ridere di scemenze o dell'ennesimo tre preso in verifica.
La ragazza odiata dal piccolo gruppetto di secchioni e di bravi ragazzi, del quale fanno parte anche loro due. Un ottimo circolo allegro, dove si ride per un buon motivo e in cui tutti si danno una mano con lo studio.
Sempre meglio di quell'altro, o dei ragazzi della classe che vanno dietro a quelle galline credendo siano belle come ninfe, anche se in realtà la loro bellezza è comparabile alla loro ignoranza.

-ci scommetto, stamattina avrà di sicuro parlato male del mio aspetto, o almeno del mio vestire- commenta la castana dalle punte rossastre, guardando storto le spalle della ragazza che se ne stava a sbavare dietro ai soliti ragazzi di quinta.
-ma che dici Sonora! Avrà di sicuro parlato male di me- dice Sarah, guardandosi i vestiti che porta con sguardo rattristato e consapevole.
-andiamo dagli altri? Sono stanca di guardare quella narcisista- propone la castana, guardando Jessica con sguardo freddo.
Dirigendosi poi verso il corridoio per la sala insegnanti, si uniscono al loro spassoso gruppo.
-i romani erano furbi, non dimenticatevelo- fa la ragazza bionda, con l'indice alzato in aria e sguardo fiero.
-ancora ad imitare la professoressa di storia dell'arte, Isabelle?- dice ridendo Gioia, la ragazza affianco alla bionda e riccioluta Isabelle. Questa ragazza all'apparenza sembra esser timida, riservata e di poche parole, ma quando crea un legame con qualcuno si sente libera di esprimersi. Isabelle è sensibile dentro e tende a non mostrare emozioni, perciò può apparire fredda ad occhi sconosciuti. Gentile e disponibile con tutti, pure con chi odia.
-come puoi non prendere in giro quella minuta fuori di testa- le risponde Jack, stando attento a non farsi sentire dai professori che uscivano dall'aula insegnati. In poche parole è un ragazzo pervertito e simpatico, che sbava dietro le ragazze dalle belle curve.
-non vedo l'ora di fare laboratorio, mi sono venute in mente delle belle idee per l'elaborato!- esclama estasiata Gioia, pensando a tutti i disegni che le erano venuti in mente il pomeriggio prima.
-ma sono l'unica che stava per prendere sonno con Miss Pole?- domanda ancora stanca Sonora, guardandosi  attorno in cerca del volto della prof di italiano. Sarah scaglia una gomitata al fianco dell'amica, vedendo arrivare l'interessata.
-ed eccola là, nomini il diavolo e spuntano le corna- dice sottovoce per farsi sentire solo dai compagni, mentre l'amica sta ancora cercando di far passare il dolore al fianco.
-e che corna!- dice con enfasi Jack, vedendo arrivare la professoressa di storia dell'arte. Una donna bassa dai capelli corti, biondi e appiccicati, con la gonna che stona con il colore della maglia, porta tre borse cariche di libri e verifiche. Ma la cosa che fa ancor più ridere, è il modo con cui tiene sollevata da terra la sua borsa, il braccio piegato e la mano che ondeggia in aria, vuota.

Passata l'ultima ora di scuola, sfogandosi con i colori per poi sporcarsi le dita di tempere e acrilici, i ragazzi escono dalle porte d'ingresso diretti verso il parcheggio. Salutandosi poi, prima di dirigersi verso le proprie auto o bici.
-oh Sarah, ti va di venire a casa mia domani pomeriggio? Vorrei parlarti di alcune cose- chiede esitando Sonora, camminando affianco a lei giù per il marciapiede.
-d'accordo, di che cosa vorresti parlarmi?- domanda curiosa l'amica, preoccupata per quello che potrebbe dirle.
-te lo dico domani, se no a che servirebbe il mio invito?- dice trascurando la preoccupazione della compagna.
Prendendo il manubrio della sua bici, ancora incatenata al suo posto, si mette in sella.
-va bene, ci vediamo domani allora- saluta Sarah, andando verso l'auto che l'attendeva nel parcheggio.
-si, ciao!- risponde al saluto l'amica, non accorgendosi che l'altra era ormai troppo lontana per sentirla.

Pedala verso casa, immersa nei pensieri che la disturbavano da tutta la mattina, pensieri pesanti e poco chiari. L'aria tiepida del pomeriggio le sferza i capelli lunghi, facendoli svolazzare dietro la sua schiena. Le sfumature rosse delle sue punte sembrano far prender fuoco la chioma di capelli castani, un effetto voluto da lei stessa.
Mentre percorre quei pochi metri di stradina che la separano dalla sua grande casa, si guarda attorno cercando di accumulare tutti i colori del paesaggio nei suoi occhi.
Si può già sentire nell'aria il profumo di fiori, come le margherite nel prato verde che stava davanti l'edificio. Gli alberi nudi sono già macchiati di qualche puntino verde, qua e là fra i rami ossuti.

-sono arrivata!- urla entrando dalla porta di casa, sale le scale e sua madre la accoglie con il pranzo.
-com'è andata a scuola?- le domanda sedendosi sulla sedia affianco, con il caffè in mano.
-come al solito- le risponde prima di iniziare a mangiare.
La madre si volta ad osservare il telegiornale, trasmesso in televisione. Scorrono le solite notizie: economia, sport, cronaca nera e quant'altro.
Finito di pranzare, dopo aver salutato sua madre che stava partendo per andare a lavoro, si dirige verso la sua camera per iniziare a studiare e a completare i suoi elaborati.

Don't forget my eyesWhere stories live. Discover now