...GUERRA.

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Dove potrebbero averlo rinchiuso, dove?

Ora che sono fuori da quella camera allucinante dovrei riuscire a sentirne la presenza.
Chiudo gli occhi, fisso la vista sul nero di quelle tende di carne rosea che sono le palpebre.
La mia mente si apre, sento l'aria che attraversa e la compattezza dei muri che irrompe.

Trovato!

La sua immagine non è precisa, vedo solo un corpo di un blu cristallino, chiaro all'interno e scuro nei contorni rinchiuso in una stanza nera. Delle corde nere lo sorreggono da terra.
Spero che questa visione sia solo una piccola parte di un illusione.

Avanzo in quel corridoio in cui giorni prima strisciavo, cercavo di scivolare via dalle prese di uomini bianchi.
Ora lo percorro in un altro corpo, tenendo in ostaggio un'altra anima.
Passo davanti a varie porte in metallo grigio, le ispeziono una ad una con la vista a calore.
Sono tutte fredde come gli abissi.

A passo cauto svolto un angolo, mi si para davanti un altro corridoio grigio. Dopo ogni porta, in mezzo al corridoio, dovrebbe esserci una sottile lastra di ferro che sbarrerebbe la via in caso di fuga.
Un posto all'avanguardia in fatto di sicurezza.
Quei solchi sui muri che percorrono il soffitto nascondono delle sbarre di metallo.
Devo stare attenta a non far scattare l'allarme o queste mura, finte e grigie, collasseranno al suolo sbarrandomi la strada.

Procedo fino in fondo, il cuore in gola per la tensione.
Mi arresto guardando una piastrella a lato con tasti numerati di un verde elettronico.
C'è bisogno di una password, dove la trovo ora?
Chi potrebbe esserne in possesso?
Di sicuro, quando le guardie scientifiche di questo manicomio l'hanno catturato, l'avranno affidato a quel beffardo di O'Connor.
Magari ha dettato lui il codice segreto che tanto cerco.
Tentar non nuoce.

Allungo la vista fino ai piani alti di questo edificio, riesco ad arrivare con lo sguardo all'ufficio di quell'uomo maledetto da un contratto con chi sa chi.
Sdraiato sulla poltrona nera in pelle, nascosto dietro una scrivania firma con la sua penna argentea fogli tinti di velenose parole governative.
So che prima o poi dovrò metterci le mani su quei patti tra umani.

Vado avanti ed entro nella sua mente, cerco un ricordo chiaro e ravvicinato. Dovrebbe essere successo tra ieri ed oggi o forse molto tempo prima?
Frugo fra le membra dei suoi ricordi trovando una discussione tra lui e altri tre uomini in divisa.
-incatenatelo, non deve nemmeno respirare quel dannato- ordina severo.
-sissignore- fanno in coro quelle mummie dalle mani bloccate.
-rinchiudetelo con una serratura a codice e usate la data familiare...- che cosa intende con "data familiare"?
Che sia questo il codice, non credo visto la tastiera numerica.
-2705- perfetto.

Torno alla mia postazione un po' traballante per il viaggio mentale.
La vista torna ad esser fissa dopo qualche scompiglio agli occhi.
Punto l'indice sui numeri indicati.
Uno scatto seguito dal cigolio di vari macchinari di pesante materiale.
Degli ingranaggi girano spostando la porta verso l'interno della stanza oscura.
Una striscia di luce soffusa entra dallo spiraglio percorrendo lentamente il profilo della parete.
Sfioro il ferro dell'entrata passando da un ambiente illuminato ad uno buio e in penombra.

La stanza che si presenta a me, dalle pareti polverose e ricoperte di cavi elettrici che perdono scintille azzurre, queste sprizzano nell'aria lanciando dei colpi di luce.
Dei cavi, mi correggo delle catene ferrose cigolano scendendo dal soffitto, ricoperte di una poltiglia melmosa di un color marrone scuro con riflessi nerastri.
Le catene lo sollevano da terra come crocifisso dai suoi stessi peccati.
La testa ripiegata sul collo rivolta verso il basso.
Le braccia tirate da una parte all'altra, abbandonate sulle manette che stringono e addentano quei stretti polsi.
Una fascia in metallo racchiude il suo petto, stringendo in una morsa la schiena, in modo da intrappolare quei viticci neri e scivolosi che avrebbe potuto usare per evadere da questo posto.
Solitamente stringono il collo delle sue vittime togliendogli l'anima di bocca.

Questa visione mi fa bruciare gli occhi.
Il mio cuore perde un battito prezioso.
La mano esile della donna estranea stringe la divisa bianca al  petto.
Sono ancora io a comandare questa prigione in carne e ossa.
Avanzo, il ticchettio delle scarpe sulla superficie del pavimento rimbomba su ogni parete.
Salgo sul piedistallo in cui l'hanno "esposto", come se fosse un trofeo, come se tutto questo fosse solo una stupida gara.
La mano rosea sfiora quella museruola in metallo che gli hanno stretto al viso pallido, in modo da chiudergli la bocca dai denti neri e lucidi.

Vederlo in questo stato mi stringe il cuore fra le spine.
I miei occhi si trattengono dal pianto.
Prendo un respiro e gli sussurro all'orecchio.
-perché sei venuto qui? Non avresti dovuto, questa non è la tua guerra, tieni lontano gli altri da questo posto-
Non voglio che loro si intromettano in questo caos che sta per scatenarsi fra queste mura.
Non voglio che vedano la vera me che si nasconde sotto quel viso pallido e privo di segni.

Non voglio che assistano alla strage che sto per fare, non voglio che vedano la morte.

Don't forget my eyesWhere stories live. Discover now