LA SCUOLA

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Diedi un calcio alle due porte che si aprirono di botto, alzando così una nube di fitta polvere. Mi ritrovai davanti un corridoio lungo, con fogli sparsi per terra e degli armadietti su entrambe i lati, alcuni aperti con croste di vernice verde scuro, che sembrava togliersi al minimo sfioro.
Attraversai i corridoi di quella lugubre scuola, quasi sentivo le risate dei bambini che correvano nei corridoi, chissà quanto tempo addietro.
Entrai in una classe, lasciandomi condurre dal fato, sperando fosse quella in cui avevo passato i giorni a sognare ad occhi aperti, durante le lunghe spiegazioni dei prof. Come facevo sempre dopotutto. E propio alla fine delle lunghe file di banchi, in un angolo, separato da tutti gli altri, un banco più rovinato, annerito, come se a chi gli apparteneva ci avesse impresso le sue emozioni. Sulla superficie di legno c'erano segnate due orme, due mani di bambino.
Come attratta ci posai i miei palmi e la vista divenne di nuovo bianca.

Ero seduta sul banco, davanti ai miei occhi tutti i miei compagni erano girati verso di me, pure la professoressa, che mi guardavano con disgusto, rabbia e indifferenza.
Cosa avevo fatto per meritarmi quelle occhiatacce?
Uno scatto fece cambiare quell'immagine.

Sempre seduta nel banco, i miei compagni mi circondavano, la prof davanti alla cattedra a braccia conserte, come se gli lasciasse fare, approvando quello che mi avrebbero fatto di lì a poco.
Loro mi indicarono, come se stessero guardando una cosa troppo diversa da loro per essere definita umana.
Un altro scatto, scuote l'aria, facendo cambiare il tempo.

Mi ritrovai in uno dei tanti corridoi e un gruppo di ragazzine, dall'aria superba, mi bloccavano la strada. Gli diedi le spalle, cercando una via d'uscita ma altre mi bloccarono.
Sentivo di essere in trappola.
Si avvicinarono a me, tramutando i loro sguardi indifferenti in sorrisi beffardi. Volevo indietreggiare per appoggiarmi al muro, sapevo che niente mi avrebbe retto.
-STREGA!!!- urlarono in coro, e la loro voce mi arrivò dritta al petto, quasi mi pugnalasse al cuore.
Un'aria gelida si schiantò sul mio volto.
-MOSTRO!!!- parlarono altre. Mi misi le mani alle orecchie tentando di allontanare quelle voci dalla mia testa.
Sapevo che non era reale, ma il dolore era troppo intenso. Caddi in ginocchio, sentivo le voci come se fossi in apnea, sotto uno strato sottile di acqua, le urla non si attutivano abbastanza.
Le sentivo lo stesso.
In una continua tiritera.

Anche le figure di questo ricordo, avevano lo sguardo bloccato da una fascia nera.

Riaprii gli occhi a fatica. Mi sentivo le braccia pesanti e la testa mi doleva.
Uscii correndo dalla scuola, come volessi scappare dalla cruda realtà.
Tornai al parchetto e mi sedetti sulla mia altalena e iniziai a dondolarmi, tentando di confortarmi. Il vento freddo mi sferzava il viso rigato da lacrime ormai ghiacciate, mi scompigliava i cappelli color fuoco, sembravano quasi una vera fiamma, tondeggianti al vento.

Guardavo come uno zombi l'inizio del bosco, dopo quei pochi metri, davanti le altalene. Mi risvegliai dalla trance e mi alzai turbata dal tempo passato in quello stato di incoscienza. Rovistai nelle tasche del trench trovando il foglietto su qui avevo scritto l'indirizzo della casa in qui avevo vissuto, che mi avevano dato i miei genitori adottivi.
Ci arrivai a piedi, con molta calma...lasciando un po' di tempo per pensare a cosa potessi aspettarmi.
Mi girai sul vialetto che conduceva al porticato di entrata.
La porta era aperta.
Non so il perché, ma questo mi mise paura, come se qualcosa dal passato fosse tornato a farmi visita. Entrai sentendo uno strano ronzio, mi ritrovai in un salotto con un divano rivolto verso la televisione senza segnale, aveva lo schermo a pallini bianchi e neri. Dietro sul muro era tracciato, con una strana sostanza densa e nera come il petrolio, un cerchio attraversato da una X.
La testa iniziò a girami, come se avessi la nausea, anche se non sapevo spiegarmi il perché di questa reazione. Mi voltai su una porta che dava alla cucina. In mezzo una figura alta, snella, dal completo elegante di un gentleman: giacca e pantaloni neri, camicia bianca e una cravatta rosso sangue. La cosa a stupirmi era però la carnagione, quella di un morto, un bianco più bianco del bianco stesso.
E...mio Dio
NON AVEVA VOLTO!
Indietreggiai sentendo una sensazione di risucchio provenire da LUI.
Mi girai e fuggii più in fretta che potevo senza voltarmi.
Perché ovvio, non ero mica tanto idiota da commettere un errore del genere che avevano fatto chissà quante vittime.
Arrivai al solito parco, che ormai consideravo un rifugio, e, non sentendo i suoi passi dietro di me mi fermai.
L'aria muoveva le fronde degli alberi, lasciando che le foglie si scontrassero producendo un tenue rumore, come quello di un mormorio sommesso. Alcune si staccavano dal ramo e volavano solitarie per il parco. Sentivo solo silenzio; un silenzio assordante intervallato da raffiche di vento che mi scompigliavano i capelli.
Mi voltai.
Merda.
Avevo appena commesso un passo falso senza accorgermene. Sapevo che voltandomi avrei potuto sicuramente trovarmelo dietro di me.
Sudavo freddo, mi girai lentamente tenendo gli occhi completamente chiusi dalla paura. Li riaprii poco dopo e, con mio grande sollievo, non c'era.

Sapevo benissimo chi fosse quella figura, quell mostro, quell'uomo...Provavo sia paura che pena per lui.
Paura per quello che poteva fare, pena per quello che gli era accaduto, trasformandolo in un mostro come tutti lo definivano.
In passato, al orfanotrofio in cui mi ero risvegliata, mi facevano i complimenti, per essere sfuggita al destino che avevano avuto molti altri bambini che vivevano nella città da cui venivo...non sapevo bene il perché di tanto stupore, ma poco dopo mi fu rivelata la sua storia.

SLENDERMAN.
Era questo il suo nome. Il nome che usavano tutti, quando si riferivano alla cosa che era diventato.

Perché l'ho incontrato proprio ora?
Cosa voleva da me?
E cosa ha a che fare con il mio passato?

Don't forget my eyesWhere stories live. Discover now