TORTURE II

47 9 0
                                    

La stessa fine delle tre ragazzine.
Il pomeriggio in cui spazzai via la mia città natale, ora città fantasma.

La piscina sarà stata una prova per vedere di cosa sono capace, se magari potevo respirare sott'acqua?
Si so farlo ma loro stupidi, avevano troppa paura di lasciarmi la sotto. Cosa credevano che sarei morta affogata?
No, io non morirò per questo, non in questo modo.
Quale sarà la prossima prova?
Sono curiosa.
Un sorriso psicopatico solca le mie labbra.

Il silenzio fluttua nella stanza.
Uno scatto, un altoparlante si accende per far liberare le parole di una bocca logora di menzogne.
-signorina Blum, spero che lei sia pronta per fare un po' di ginnastica, le piace correre?- ancora lui e la sua voce cattiva.
-...ovviamente...- stesso tono di voce velenoso.
-bene!- si crede divertente? Sciocco umano.
Una porta si apre e i soliti due servi muti in bianco mi afferrano per le spalle. Stavo così bene sul pavimento, perché?
Non voglio correre!

Mi sento come durante le ore di motoria alle superiori. Terribili.

Lo stesso corridoio ma diverso anche se gemello dell'altro.
Non l'abbiamo percorso per andare alla stanza della verità.
Questo è un altro, mi sembra di stare in un labirinto che gira e gira intorno ai miei occhi.
Questi mi accompagnano ad un'altra stanza.
Un tapiro lan se ne sta solitario in mezzo. Uno specchio, mi correggo, un vetro lucido divide questo ambiente dalla stanza nascosta. Qualcuno sta ad ascoltare e a guardare ignaro.
Loro mi ammanettano le mani dietro la schiena. Sono dei matti a farmi correre in questo modo.
Mi spingo sul nastro ruvido, nero e lucido. Lo azionano immediatamente al massimo.
La mia caviglia prende un salto di agitazione.

Corro, corro come non avevo mai più corso in vita mia. Che giornata magnifica e sfortunata che fu quella, così lontana e sfuocata.

Quel giorno la mia scuola media aveva organizzato i giochi della gioventù. Ne avevo vinti molti anche alle elementari. Ad esempio in quinta, il giorno del mio compleanno, avevamo vinto alla staffetta e la nostra classe si classificò seconda.
Mentre quell'anno di medie, quella mattinata calda dal cielo limpido, mi ero chiusa in bagno per cambiarmi. Che colpo che ho preso quando la porta non si riapriva, fortuna che c'era una professoressa all'esterno e appena prima che iniziasse la gara sono riusciti a farmi uscire.
Subito mi precipitai in campo con la voce della preside che parlava nell'aria. La mia squadra era riunita davanti alla pista da corsa, ci mettemmo in posizione di partenza.
Io ero la seconda a partire.
Quel momento non me lo scorderò mai. Era stato difficile per me imparare a prendere il testimone, in quei pochi mesi, eppure quel giorno lo afferrai così forte che lo sentivo sciogliersi sotto le mie dita. Corsi così tanto da superare tutte quante e mettere in testa la mia squadra.
Quanto andavano veloci le mie gambe, il vento caldo sul mio viso.
Arrivammo prime e indossammo la medaglia d'oro, col nastrino colorato al collo e la luce gialla che abbagliava i nostri occhi.
Che giornata.

Un sorriso di fierezza solleva le mie labbra senza che me ne accorga.
Corro e inizio a sfrecciare sul posto come se fosse quel preciso momento di tanti anni fa.
Corro in modo goffo per via della stretta ai polsi, bruciano per le manette che cerco di sfilarmi.
Il nastro non regge più la mia andatura, non ci posso credere! Vado molto più veloce di quella striscia nera che si accartoccia su se stessa a pergamena.

Thon!

-ah, merda...!- un flebile impreco. Ho sbattuto la testa sulla tastiera di controllo, che male!
Il nastro si è completamente fuso, un leggero fumo grigio si solleva dal macchinario. Le divise bianche sono immobili, sento la loro agitazione e il loro stupore lo si legge negli occhi.
Dei rivoli di sudore caldo e denso scendono dalla fronte di quel povero generale, che intanto era uscito allo scoperto da dietro lo specchio riflettente.
Stranamente è lui quello che suda e non io.
La mia pelle è liscia e fresca, nessuna goccia si è lasciata scivolare giù dal mio viso.

"Patetici, mi fanno quasi pena"

La mia frase mi risuona nella mente fino al ritorno nella stanza latte. Una voce tetra e crudele.
Non mi sarei mai resa conto di avere questo tono nella mia mente.
Sento che mi farà compagnia durante questi giorni di prigionia.

Distesa sul fianco con la schiena appoggiata ad una parete, osservo i solchi viola sui miei polsi.
Avvicino la mia bocca a quella scritta di sofferenza.
Ferro è il gusto che incontra la mia lingua, salato e amaro.
Chiudo gli occhi come in cerca di qualche ricordo di bambina, dei momenti in cui non facevo altro che assaggiare il mondo che mi circondava.
Mi pare di sognare, mi pareva di dormire.

La vista continua ad essere bianca.
Mi abbaglia e quasi mi rende ceca, sembra che non riesca a dormire. Sento qualcosa che continua a tenermi sveglia.
Non mi lasciano dormire, no non questo.
Io devo dormire!

Beh, la bestia l'avete svegliata voi.

Mi sento agitata, le mie ossa tremano non per il freddo, sento che qualcosa in me cerca di uscire.
Devo sfogarmi.
La mia pelle si ghiaccia e le ossa diventano pesanti.

                              •••

Don't forget my eyesWo Geschichten leben. Entdecke jetzt