OIL TRUCK

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Salto giù dal silos con un balzo, atterrando in piedi e attutendo la caduta con le gambe.
Inizio immediatamente a camminare e lentamente conto i passi.
Mi concentro il più possibile, cercando di non sbagliarne nemmeno uno.
Non devo fare errori.

Rientro nella foresta, lasciandomi alle spalle il grande spiazzo erboso.
Le mie mani iniziano a diventare insopportabilmente fredde. Le stringo, stringo le dita facendo diventare le nocche ancor più bianche della mia pelle.
Cerco di scaldarle, il mio corpo inizia ad emanare freddo.
Una sensazione strana, ma ancor più innaturale è che, più provo a scaldarmi più mi raffreddo.
Porto le mani, chiuse a coppa, davanti alla mia "bocca".
In quel tratto del viso, dove dovrebbero esserci le mie sottili labbra, una nuvoletta bianca e di poco spessore, filtra all'esterno della pelle bianca latte.
Sulle dita non percepisco alcun cambiamento, come se quel poco calore che ho emanato, avesse attraversato il mio corpo senza scontrarsi.
Come un fantasma.
Sento le braccia irrigidirsi.

...1340...1345...1350...
Mentalmente continuo a calcolare i passi, mentre il mio corpo inizia a tremare. Piccole scosse gelide percuotono i miei arti, raffreddando e ghiacciando i muscoli attivi.
Senza rendermene conto, le mie gambe iniziano ad aumentare il passo.
Cerco di fermare i tremolii che continuano a rallentare il mio ritmo. Vado sempre più spedita ma la pelle continua ad irrigidirsi, ed a diventare sempre più gelida.
Tento di concentrarmi il più possibile sul percorso, sulla strada che sto percorrendo, anche se questo strano "calore" continua a darmi fastidio, ed a distrarmi sul mio obbiettivo.

Guardo in alto, tenendo a mente i passi, osservo i piccoli tratti di cielo che si intravedono attraverso le fronde dei pini e tra le chiome aghiformi.
Questa mattina il clima era piacevolmente caldo, invece ora, sembra che la temperatura stia scendendo.
Il cielo non è più azzurro.
Delle nubi spesse hanno coperto i pochi raggi di sole che riuscivano a filtrare nella foresta, facendo sì che tutto l'ambiente ne risentisse.
L'aria è divenuta gelida e difficile da respirare, sento i polmoni congelarsi al loro interno e la mia gola brucia per l'aggressivo sbalzo di temperatura.
Gli alberi si sono fatti più scuri, il terreno più duro.

...1610...1615...1620...1625...
Su forza, ci sono quasi.
Dó una spinta in più alle gambe, cercando di darmi un incentivo.
Sento l'aria fredda colpire le mie spalle e schiaffeggiare il mio volto.
Sembra di essere passati dall'autunno, o primavera, questa mattina, ed ora all'inverno appena iniziato.
Ci mancherebbero solo i fiocchi di neve, allora si che mi spiegherei tutto questo gelare.
Provo a scaldarmi strofinando le mie esili mani sulle braccia.
Percepisco appena i palmi scottarsi, per il ripetuto e rapido sfregare della pelle sulla stoffa fredda. Ma nulla, i tremiti continuano ancor più aggressivi e agguerriti, agitando così il mio intero corpo.

Dovrei essere quasi arrivata.
...1650...1655...1660...
Santo cielo, finalmente sono vicina alla svolta.
Conto gli ultimi passi lentamente, come una conquista.
Mi blocco al 1674 come aveva detto lui.
Dovevo fare tutti questi passi in direzione est, riapro la lettera per esser sicura di ciò che ho letto.

1674 passi ad est e 39 passi a sud.

Devo farne altri 39 a sud, perfetto.
Meglio che mi muova, non ho più idea di che ore siano, ho perso la cognizione del tempo con questo cambiamento di clima.
Inizio subito, svoltando alla mia destra, conto nuovamente i passi.
Il mio corpo continua a gelare, non riesco più a chiudere le mani, le dita si sono indurite.
Non ho la più pallida idea di dove mi voglia portare.
Se conoscessi questo posto, mi avrebbe fatto un semplice indovinello, invece stavolta ha voluto indicarmi una nuova strada. In un modo piuttosto semplice e faticoso per me, o forse no, dato che essendo di statura più alta i miei passi sono maggiori, rispetto a quelli normali degli umani.
Cammino, penso e conto.
Notevole come io riesca a fare più cose contemporaneamente, pur avendo un freddo terribile che quasi mi ghiaccia gli stessi pensieri.

Sento i piedi appesantirsi, le gambe irrigidirsi, le braccia incrinarsi verso l'interno del petto e le mani farsi sempre più piccole e strette. Dovunque lui mi stia conducendo, questo clima che si è andato a creare mi sta quasi bloccando.
Sento la mia vista farsi sempre più fredda, appannata e lucida.
Mi sembra quasi di lacrimare, ma credo sia solo un illusione della mia mente ed immaginazione.
L'aria si fa sempre più ghiacciata, un feroce gelido brucia contro la mia pelle.
Non c'è nemmeno una bava di vento, i rami sono immobili come congelati nel tempo.
In me cresce una paura, paura di venire congelata insieme a loro, in un tempo indefinito.

...30...35...37...38, e finalmente 39.
Guardando a terra, bloccandomi sull'esatto passo indicatomi.
Alzo il volto e mi guardo attorno, poco fa nulla di tutto ciò si trovava davanti ai miei occhi.
Un vecchio e polveroso, per non dire arrugginito e malandato, camion a cisterna grigia.
La motrice, di un color blu cobalto, rivestito da strati e strati di anni di polvere.
Sembra essere fuori funzione da secoli, non credo che posso ancora ripartire, accendersi e trasportare di nuovo un carico.
Non percepisco alcuna traccia di elettricità nel suo scheletro ferroso e sporco.

Mi aggiro attorno alla carcassa, in cerca di qualche bigliettino rosso o nero.
Guardo fra le ruote, incastrate nel terreno.
Nella postazione di guida, frugando per l'ennesima volta tra varie cartacce, stavolta meno della precedente.
Non trovando nulla, mi stranisco nell'osservare la cisterna retrostante.
Noto su un piccolo angolo, in disparte e nascosto, un cerchio nero con una fiamma stilizzata al suo interno.
Infiammabile.
Cerco sulla superficie, ma nulla sembra essere un ottimo nascondiglio.
Vado sul retro del grande veicolo morto, la cisterna è di forma cilindrica allungata ai lati esterni, un cilindro a base di ellisse.
In basso, un po' sopra la targa e alla barra di ferro, con le luci rosse di posizione e dei fanali posteriori, vi è un piccolo bocchettone nero a cerchio.

Il mio sguardo si posiziona su di lui, lo focalizza e mi sento sempre più incuriosita.
Vorrei sapere cosa trasportava questo camion, cosa vi è all'interno della cisterna e se magari possa essere quello il nascondiglio, dove lui ha infilato il bigliettino.
Mi avvicino, pronta ad afferrare la manovella e a svitare il bocchettone.
La mia mano, con fatica si riapre, le dita scricchiolando si avvicinano e si allargano per la presa.
Sfioro la liscia e lercia manovella. Una smorfia di disgusto si accenna sul mio volto, cerco di sopportare anche questo fastidio, come ho sopportato finora il freddo.
Le mie dita si aggrovigliano e con il braccio tiro con forza.
Uno stritolio ne esce, provocato dall'attrito tra la gomma e il metallo.

Con uno scatto l'apertura si libera, una striscia verdognola sembra sollevarsi ed uscirne da quel buco scuro.
Un tanfo, decisamente insopportabile, si insinua e occupa le mie narici.
Tossisco, insisto sempre più, cercando di far uscire questa strana presenza fastidiosa, che se ne sta quatta nei miei polmoni, in gola e nella bocca. 
Scruto nell'oscurità dell'apertura, una goccia nera, e dai riflessi verdastri, scivola via, giù da quel buco.
Olio.
A quanto pare questo camion trasportava olio.
Come ha fatto a finire qui, in mezzo alla foresta?
Qui, dove nemmeno un umano, vi entrerebbe con tanta disinvoltura e tranquillità?
Meglio sorvolare su questo dubbio e sulla mia curiosità, ho ben altro a cui pensare e molto di cui mi devo occupare.
Sbircio, avvicinando il volto, sempre con cautela e una certa distanza, a quella scura apertura.

Vedo qualcosa brillarvi, o meglio, vedo un leggero e incerto piccolo fascio di luce, non bianca.
Infilo con insicurezza due dita.
Qualcosa di liscio e, leggermente soffice, incontra la mia pelle...una pellicola.
Afferro qualsiasi cosa sia, con presa sicura, e lo tiro fuori.
All'inizio mi sentivo quasi impaurita allo scoprire quel qualcosa, ma ora che vedo cosa mi ritrovo in mano, provo un dolce sollievo e grande allegria.
Una busta trasparente, sporca di quell'olio, che contiene e protegge un bigliettino.
Un bigliettino rosso, con la mia iniziale dorata che brilla alla fievole luce del pomeriggio.

Mi allontano da quello strano e nuovo luogo, apprendo la busta di plastica e scoprendone il contenuto.
Quel dolce contenuto che da ore ormai continuo a cercare, da tutta la giornata, di vari colori e parole.
Chissà quale frase, quale indovinello mi ha riservato questa volta.
Leggo la mia ricompensa, dopo tanta strada e qualche minuto di ricerca.

Luogo d'Inferno, freddo e caldo, nero e bianco.
Un oggetto infernale al suo interno e anime che circondano quel luogo.

"Papà"
Tuo, Slender.

Don't forget my eyesWhere stories live. Discover now