1 - Tornando a casa

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21 Dicembre 2001

Il marciapiede della stazione iniziava a scorrere lentamente sotto i miei occhi, il fischio del treno confermò quello che avevo intuito: stavo davvero tornando a casa.

Guardai il finestrino, ipnotizzata dal paesaggio che si muoveva sempre più veloce. La nebbia misteriosa che permeava la stazione era in contrasto con la luce calda del mio scompartimento. Mentre osservavo gli edifici diradarsi e la vegetazione farsi a poco a poco più fitta, scorsi il mio riflesso.

I capelli scuri, raccolti distrattamente mentre facevo la valigia, la pelle bianca, quasi pallida in contrasto con il collo alto del maglione nero, e occhi che si perdevano nel grigio della nebbia. Mi sentivo smarrita in quel grigiume, ma non potevo darlo a vedere. A casa non lo dovevano sapere. Avevo tanto insistito per iniziare l'università lontano e mai avrei ammesso che la stessa sensazione che mi attanagliava nel mio paese natale, mi aveva seguito fin qui.


- E' libero?-

Una voce calda alle mie spalle mi riscosse dai pensieri e voltandomi riconobbi un viso familiare.

- Ciao! - dissi sorpresa alzando lo sguardo.

Il ragazzo riconoscendomi rimase un'attimo sorpreso, poi sospirando sorrise.

- Che ci fai qui? – continuai confusa.

- Quello che fai tu, torno a casa per le vacanze.- constatò mentre entrava nello scompartimento posizionando le sue valige nello scaffale rialzato. Poi si sedette di fronte a me, affianco al finestrino.

Stefano De Leonibus non era mai stato un tipo molto loquace. Non lo vedevo da quando aveva finito il liceo qualche anno prima di me. Eravamo cresciuti insieme in paese e le nostre famiglie si conoscevano da tempo, ma nonostante ciò non avevamo mai instaurato alcun tipo di amicizia. Era alto e massiccio, come tutti i ragazzi nati ai piedi delle montagne e aveva il fastidioso vizio di non guardarmi negli occhi. Per lui non ero mai esistita per questo mi aveva sorpresa sedendosi di fronte a me.

-Non sapevo vivessi qui. – dissi provando ad iniziare una conversazione, ma non speravo in una risposta.

Appoggiato al sedile fissava concentrato il paesaggio fuori dal finestrino. I capelli neri un po' lunghi gli incorniciavano il viso, sfuggendo da un codino con cui li teneva legati.

Incurante della buona educazione presi a fissarlo. Sapevo di certo che non mi avrebbe rivolto parola o soprattutto uno sguardo. Ormai da anni ero convinta di essergli in antipatia, di essere una fastidiosa presenza per lui. Forse non ero abbastanza interessante, forse gli ricordavo quello scomodo paese dove eravamo cresciuti o forse era semplicemente un tipo apatico. Non l'avevo mai capito.

Era stretto in una camicia bianca con i polsini arrotolati fino al gomito nonostante le gelide temperature del treno. Oltre alla valigia, aveva poggiato una tracolla in pelle marrone da cui spuntavano un libro e un notebook. Sembrava stanco e innervosito.

Come il mio solito presi a fantasticare sulle possibili spiegazioni: aveva avuto una giornata pesante al lavoro? Il capo lo aveva sgridato? Aveva forse litigato con la ragazza? O forse come me odiava tornare a casa.

Quest'ultimo pensiero mi riportò alla mia fastidiosa realtà: stavo davvero tornando e nulla era cambiato in quei primi mesi universitari. Avevo conosciuto qualche amico in università e le lezioni mi erano piaciute assorbendomi parecchio nell'arco della giornata, ma quella sensazione di mancanza, di non essere nel posto giusto non si era placata. O forse non era la sensazione di non essere nel posto giusto, ma di non essere con le persone giuste.

Sospirai distogliendo lo sguardo dal finestrino e afferrando il cellulare. Non avevo trovato ragazzi interessanti in quella città, non mi ero "aperta al mondo" come avevo sperato e la colpa era mia. Soprattutto ora che mi ero ridotta a passare le vacanze a casa, con gli stessi amici di sempre. L'unica nota positiva era che negli ultimi tempi Marco mi aveva scritto ripetutamente, insistendo su quanto fosse felice del mio ritorno. Lui era sempre stato il ragazzo più carino e simpatico di quel paese sperduto ai piedi delle montagne. Era un gran lavoratore e aveva ereditato l'azienda di famiglia quindi non si era allontanato da casa. Sapeva quale era il suo ruolo e l'aveva incarnato alla perfezione.

Forse il problema ero davvero io che non ero in grado di trovare il mio ruolo nel mondo. Forse avevo bisogno di una persona affianco per capirlo. Forse dovevo semplicemente lasciarmi andare senza continuare a riflettere sulle mie odiose sensazioni.


- Cosa farai per queste feste?-

La voce di Stefano mi lasciò confusa. Davvero mi rivolgeva la parola? Lo guardai, ma lui continuava a fissare il finestrino come se parlasse a quest'ultimo.

- Io?- lo vidi annuire, leggermente scocciato.

- Niente, so che i ragazzi hanno organizzato una gita allo chalet per capodanno.-

- Me l'hanno detto, ma non mi va di chiudermi lassù.-

- Io penso di andare. Marco sta organizzando da giorni... vuole farci arrivare tutti a piedi perché dice che il sentiero per le sorgenti è aperto.-

- Ci saranno 5 metri di neve e tu non sei mai stata brava con le racchette.- constatò apatico il ragazzo, inarcando scettico le sopraciglia.

Quelle parole rievocarono nella mia mente il ricordo di una gita in compagnia al liceo, mi ero resa ridicola scivolando giù per un intera parete sulla neve, davanti agli occhi di mezza scuola.

- Sono migliorata.- ribattei tra i denti innervosita per quel ricordo. Poi fissando il telefono continuai: - E poi ci sarà Marco con noi. Se non le conosce lui quelle montagne.-

Stefano sembrò non avere obbiezioni e tornò a fissare il paesaggio fuori dal finestrino.

Sforzandomi di essere gentile, provai a continuare la conversazione:- Tu invece? –

- Sono tornato solo perché il nonno stava male e mia madre...beh preferiva non restare da sola.-

- Mi spiace. – risposi sinceramente dispiaciuta. Conoscevo la sua famiglia da sempre e suo nonno era uno dei vecchietti più conosciuti del paese, soprattutto per i suoi modi stravaganti di trattare con le persone.

- Lo so.- sussurrò solamente al finestrino, preso dai suoi pensieri.

Imitandolo, presi anche io a guardare lo scuro paesaggio che scorreva fuori. Forse le mie sensazioni non erano importanti, gli affetti e la famiglia lo erano certamente di più. Forse dovevo semplicemente lasciarmi andare.

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Ciao a tutti! Spero vogliate saperne di più di questa combricola di ragazzi nata ai piedi delle montagne ;) Premetto che non ho mai visto quei telefilm che hanno istruito il mondo su come funzionano  i lupi mannari. Ho letto ai tempi Twilight quindi la mia sapienza finisce lì XD

Però dai... chi non vorrebbe fantasticare su muscolosi ragazzi delle montagne che diventano lupi morbidi e cucciolosi all'occorrenza? XD Ok la pianto...


Wolf - The W seriesWhere stories live. Discover now