45 - I suoi occhi

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17 Gennaio 2002

- Ventisei signorina, accetta?- chiese il professore al termine dell'esame.

Io annuii sentendo la tensione abbandonarmi e mi diressi sorridente verso il mio banco. Ero seduta affianco a Pablo che quella mattina aveva decisamente una pessima cera: era pallido e stranamente non mi aveva rivolto parola tutta mattina, come se non avesse dormito l'intera notte, forse preoccupato per l'esame.

Anche il mio aspetto non era dei migliori ed avrei voluto dar la colpa alla nottata passata sui libri, ma la verità era che ero ancora agitata per l'incontro con Mr. Indifferenza. Non solo tutta quella vicenda dei lupi e delle visioni mi aveva sconvolto la vita, ma lui stesso ogni volta che lo vedevo sembrava divertirsi a sconvolgermi a sua volta. Ero stata furibonda per tutto il giorno e per tutta la mattina, detestando il solo ricordo del fumo di quelle dannate sigarette e del tono dispotico che mi aveva rivolto.

In tutta quella rabbia l'interrogazione era quasi diventata un diversivo, per tale motivo decisi di smorzare la tensione di quella giornata comunicando ai miei il voto e per questo mi voltai verso il mio compagno, prossimo all'esame.

- Vado un attimo a chiamare i miei, in bocca al...- Notando la risata mal celata del Mangiafuoco, mi trattenni dal dire una cavolata e uscii dall'aula scuotendo la testa.

Quanto era cambiata la mia vita in un paio di settimane? Non ero in grado nemmeno di quantificarlo. Ero fuggita in città sperando di ritrovare un po' di normalità, invece quello strano mondo sembrava deciso a non abbandonarmi.

Nel porticato esterno, fuori dall'aula, faceva decisamente freddo e mi maledissi per aver lasciato dentro il cappotto, uscendo con indosso solo la camicetta. Sentendo il gelo attraversarmi la pelle, rabbrividii e subito la mia mente rievocò le sensazioni che avevo provato immersa nella neve, dopo la valanga e con quelle sovvenne il ricordo del lupo bianco e dei suoi occhi. I suoi occhi luminosi che quel giorno mi avevano trapassato spaventati, i suoi occhi ambrati che mi avevano convinto a svestirmi nelle sorgenti, i suoi occhi scuri che in quella capanna mi avevano guardato con desiderio, i suoi stessi occhi dorati che ieri mi avevano colpito con rabbia e ferocia.

Chiusi le palpebre decisa ad allontanarli dalla mia mente, e per non pensarci composi il numero dei miei genitori. Stavo per chiamare quando una voce roca, decisamente familiare, mi fece voltare.

-E' andato bene l'esame?-

Eccoli lì nuovamente quegli occhi ambrati che sembravano inghiottirmi come un vortice nero e dorato e in quel momento ne fui certa, avrei dovuto iniziare a temere quegli occhi e il potere che avevano su di me.

Allontanai il telefono dall'orecchio studiando il suo viso: era decisamente più sollevato rispetto al giorno precedente ed il suo umore sembrava radicalmente mutato. Aveva i capelli ordinati, stretti nel suo solito codino e portava indosso una camicia azzurra sotto la giacca in pelle con una tracolla che gli attraversava il petto. Sembrava fosse appena uscito da un ufficio e mi guardava dall'alto sorridente.

-Si - riuscii a mormorare, sconvolta dalla sua apparizione e dal fatto che non avesse ripreso a sbraitare come il giorno prima.

- Allora possiamo andare.- disse prendendomi per mano e trascinandomi verso le scale che conducevano fuori dall'edificio.

Passò qualche secondo prima che il mio cervello comprendesse le reali azioni di Mr. Indifferenza, poi notando che i miei piedi avevano preso a seguirlo mi arrestai. - Andare? Andare dove?- chiesi allibita.

- Lo vedrai.-

I suoi occhi sembravano sorridere dello smarrimento che era dipinto sul mio viso e con facilità riprese a trascinarmi verso le scale.

-No aspetta! Non ho nemmeno la giacca! E poi c'è Pablo che sta per essere interrogato!- dissi aggiungendo una scusa dopo l'altra per farlo desistere da quel tentativo di rapimento.

- Appunto per questo andiamo via ora.- spiegò lui con una strana premura e detto ciò si tolse la giacca avvolgendomi con essa.

Il profumo celato in quella calda pelle nera mi stordì, rendendomi decisamente incapace di oppormi a lui.

Non riuscivo a capire: che diavolo ci faceva lì? Come osava ripresentarsi dopo le urla che mi aveva rivolto il giorno prima? E come mai non era più arrabbiato? Soprattutto perché la sua giacca profumava così intensamente? E per quale dannato motivo mi stava trascinando via?

Se dapprima lo stupore per quelle sue azioni mi aveva bloccato dal resistere, quando mi condusse d'innanzi ad una moto scura con sopra due caschi, opposi decisamente più resistenza.

- Io non ci salgo, scordatelo!- dissi tentando di piantare i piedi per terra. Non ero affatto disposta a seguirlo dopo la sua sfuriata di ieri, tantomeno su un trabiccolo così instabile.

Mr. Indifferenza salì di fretta su quella trappola nera e nel farlo si arrotolò le maniche della camicia, rivelando quello che sembrava un enorme morso sul braccio destro.

-Cos'hai fatto?- chiesi improvvisamente turbata.

Stefano sembrò sbuffare un secondo prima di parlare: - Niente che ti debba preoccupare, sali.-

-No.- feci ancor più determinata da quell'evidente menzogna.

- Senti Alice dobbiamo seminare un Maestro del Fuoco visto che hai pensato bene di fartelo amico e, a meno che tu non voglia vedermi assalirlo in pieno centro, salirai su questa moto che ci darà qualche minuto di vantaggio.-

Qualcosa in quelle parole mi portò a pensare che gli avrebbe fatto solo che piacere "assalirlo" in piena città, e preoccupata da quell'eventualità mi guardai le spalle, temendo di veder spuntare Pablo da un momento all'altro. Ciò non accadde e un sospiro di sollievo mi sfuggì prima di sentir recapitato tra le mie mani un pesante casco grigio.

Stefano mi guardava sorridendo: sapeva benissimo di avermi già messo alle strette. Così sbuffando feci ovviamente la cosa più illogica, indossai quel dannato casco e salii dietro di lui.

- Dove stiamo andando?!- gli chiesi nell'ultimo tentativo di sembrare ragionevole ai miei occhi.

- In un posto dove per lui sarà difficile trovarci!- rispose lui sicuro, mettendo in moto.

Quale dannato posto poteva farci seminare un lupo mannaro? Ma soprattutto perché lo stavamo seminando? Gli avevo spiegato che non aveva cattive intenzioni, possibile che non si fidasse di lui? Io mi ero fidata, ma decisamente non facevo testo visto che ero appena salita su quel fatale mezzo di trasporto.

Non ci fu affatto bisogno che Stefano dicesse "Reggiti", perché da come accelerò bruscamente, presa dalla paura di ritrovarmi a terra, mi strinsi a lui istericamente. Nonostante il rombo del motore e il rumore delle macchine che sfrecciavano attorno a noi, fui certa di una cosa: stava ridendo divertito. Ed in quel momento mi resi conto che le sue parole si erano rivelate dannatamente vere. " Non mi resisterai un'altra volta".


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