27 - La pira nel bosco

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5 Gennaio 2002 (Terza Parte)

Il bosco innevato aveva un che di magico e mi sarebbe anche piaciuto se non fosse che la neve morbida, appena caduta, rallentava ogni mio passo, facendolo affondare. Continuavo ad imprecare contro Stefano, maledicendolo per non avermi voluto ascoltare, per avermi nascosto troppe cose e in particolare per aver deciso di erigere una pira per suo nonno in cima a quel dannato promontorio.

Respiravo affannosamente, emettendo buffe nuvole di fumo e innervosendomi ad ogni metro. Né  i pini verdi, né la candida neve sembravano alleviare quella fatica. Avevo ormai i piedi fradici e camminavo per innerzia, temendo cosa avrei visto una volta arrivata in cima.

Le parole di Stefano aleggiavano nella mia mente come un pessimo presentimento: "Tornatene a casa e non uscire oggi". Perchè mai avrei dovuto fare una cosa simile? Perchè tutto quello che mi diceva sembrava mirato a mettermi in disparte da lui? Possibile odiasse così tanto la mia compagnia?

Non riuscivo a rispondermi e la cosa che più continuava a turbarmi era la sua reazione alla vista del braccialetto. Era come impazzito di rabbia, come se quella scoperta in quel momento lo avesse scosso più che la morte di suo nonno. E in qualche strano modo sentivo di essere responsabile della sua frustrazione.


Seppi di essere vicina quando l'odore del muschio del bosco venne coperto dal fumo. Guardai in alto e vidi una scia bianca lasciata dalle ceneri che ardevano in mezzo agli alberi, in parte coperti di neve. Accucciandomi a terra mi avvicinai ancora di qualche passo, attenta a non farmi scoprire e gettai lo sguardo oltre la neve e gli arbusti.

La pira ardeva al centro di una radura quasi circolare, con le fiamme che lambivano il legno rude della cassa, avvolgendola e lasciando che piccole scintille si alzassero insieme al fumo e alle ceneri verso il cielo.

Attorno al fuoco che ardeva con un vivido scoppiettio, vi erano alcuni ragazzi, tutti giovani o al massimo dell'età di Stefano che stavano dritti e in silenzio. Alcuni li conoscevo, erano amici di Stefano da sempre e vederli lì, tutti insieme, per essergli vicino mi sollevò il morale.

Non erano i soli. In disparte poco più dietro vi era Simon, il proprietario dello chalet, che con gli occhi chiusi sembrava pregare per il vecchio De Leonibus. Vi erano alcuni forestieri dietro di lui ed anche alcune donne. La cosa più strana fu intravedere tra tutti quei ragazzi i codini biondi di una ragazzina: Beatrice, la sorella di Marco.

Se non fossero stati i suoi codini biondi, l'avrei certamente notata per le sue piccole dimensioni rispetto ai ragazzi decisamente mastodontici a cui era vicina. Fissava il fuoco concentrata, e le fiamme si riflettevano nei suoi occhi azzurri. Non si comportava affatto come avrebbe fatto una ragazzina di circa 13 anni in quel momento, non piangeva, non era turbata. Stringeva le fasce del piccolo zainetto che portava sulla schiena, e di tanto in tanto, lanciava uno sguardo strano verso Stefano, come preoccupata. Che diamine ci faceva lì con loro? Come conosceva Stefano? Possibile che avesse accompagnato il fratello? Di certo tra Marco e il lupo non scorreva buon sangue, ma probabilmente in un momento simile avrebbe assistito per rispetto anche lui a quella strana cerimonia. In chiesa l'avevo visto di sfuggita e ora scrutai tra tutti i presenti ma non c'era di lui e mi rassegnai a non spiegarmi la presenza della piccola Beatrice in quel bosco.

Nonostante tutte le mie curiosità, l'atmosfera che si respirava in quella radura era di puro rispetto verso il nonno di Stefano e questo mi fece piacere. Lì sembravano tutti avere una grande considerazione nei riguardi del nonno e del nipote, cosa che non avevo mai pensato in paese. Questo perchè Massimo era sempre stato un tipo burbero, un po' sulle sue, forse un po' troppo abituato a vivere sulla cima del villaggio con la nuora e il piccolo nipote.

Sospirai tristemente, pensando che non l'avrei più rivisto. Quando mi riscossi decisi di concentrarmi sul motivo per cui avevo seguito Stefano, e presi a guardarmi attorno.  Non era affatto il bosco e il fuoco che avevo visto la sera precedente in quella specie di visione. La neve e la luce del giorno cambiavano totalmente il paesaggio e ora che l'avevo appurato con i miei occhi mi sentivo più tranquilla: in quel momento Stefano non era in pericolo.

Dopo aver mormorato un saluto a Massimo, decisi di allontanarmi per dirigermi verso casa, senza farmi scoprire. La discesa era meno impegnativa e forse quello, o forse il vento che si era alzato, resero più fredda l'aria intorno a me. Mi strinsi nel cappotto rosso tentando di riflettere sulle mie azioni.

Avevo davvero seguito di nascosto Stefano nel bosco temendo che fosse in pericolo? Dov'era finito tutto il mio raziocinio? Perché percepivo questa connessione nei suoi confronti? Perché l'idea che potesse succedergli qualcosa mi spaventava a morte? Perché pensare ai suoi occhi ambrati mi dava una strana sensazione di calore?

Infastidita da quelle riflessioni mi picchiettai annoiata le guance: -Devi smetterla Alice, devi lasciar perdere Mister Indifferenza.- mormorai a me stessa mentre continuavo a scendere per la montagna.

– D'altra parte è proprio lui che ti ha detto di fare come se non ci fossimo mai parlati.- continuai infastidita.

Avevo quasi raggiunto il limitare del paese quando sentii il vento cessare e uno strano scricchiolio di rami spezzati dietro le mie spalle mi fece voltare.

Un uomo sulla quarantina, vestito con solo dei pantaloni scuri e un gilet di jeans sulla pelle nuda, mi fissava divertito e vittorioso contemporaneamente.

Non so di preciso cosa fu ad allarmarmi, se fu il suo sguardo che mentre si avvicinava sembrava sempre più allucinato, oppure il fatto che fosse vestito solo con un gilet in pieno inverno, o ancora il fatto che sembrava annusare divertito l'aria. Fatto sta che in una manciata di secondi realizzai che quell'uomo non doveva essere umano.

E forse fu tardi perché lo sentii rivolgersi a me con voce gutturale:- Buongiorno cappuccetto rosso, finalmente hai riconosciuto il lupo.-

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