94 - Non lo sarai mai

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5 Marzo 2002(Prima parte)

Quel pomeriggio arrivai nella chiesa a piedi, attraversando le stradine ghiacciate del paese, respirando l'aria fredda che speravo gelasse il mio cuore sofferente. Ero decisamente in anticipo per il funerale, ma non mi importava. Non avrei accompagnato mio nonno, neanche la signora Rita o i miei amici, volevo solo prendermi qualche secondo da sola per pensare alla donna che si era sacrificata per me, a cui dovevo la vita.

Entrai silenziosa, percorrendo la navata deserta, attirata dalle luci di centinaia di candele accese di fronte all'altare colmo di fiori. Mi fermai d'innanzi alle flebili fiamme che sembravano tremolare per il freddo che perpetuava tra quelle pareti. Istintivamente ne accesi una per Fedora, e non potei fare a meno di pensare che come quella fiammella, anche lei era stata una persona luminosa. Pensai all'onore che avevo avuto nel conoscere una donna che aveva amato con tutto il cuore il figlio della sua rivale e che aveva dato la sua vita senza pensarci per una ragazza quasi sconosciuta.

Il calore di quella debole fiammella mi illuminò il viso, evidenziando le mie guance rigate dalle lacrime. Come avrei mai potuto sdebitarmi nei suoi confronti? Come potevo continuare la mia vita senza pensare ogni singolo giorno che ero viva grazie a lei? Passai una mano sugli occhi nel tentativo di arrestare quelle gocce salate e in quell'istante percepii una presenza alle mie spalle.

-Speravo di trovarti qui.-

La voce di Stefano era più profonda del solito, come se il dolore di quei giorni fosse riuscito a scavarlo nella carne, giungendo alle sue corde vocali.

Mi voltai di scatto e lo trovai seduto al primo banco dietro di me con indosso lo stesso completo nero in cui l'avevo visto per suo nonno che gli andava, se possibile, ancor più stretto. Il suo viso era attraversato da profonde occhiaie e i suoi occhi spenti avevano perso il colore d'ambra liquida. Apparentemente sembrava stabile e sicuro di sé, ma scorgendo le sue mani notai che tremavano impercettibilmente, come se la sua figura, così solida e granitica, si fosse trasformata in vetro.

Mi avvicinai incapace di reggere il silenzio, incapace di resistere un solo secondo senza dirgli che mi sentivo in colpa per come erano andare le cose, che stavo male per lui e che se solo avessi saputo come fare sarei tornata indietro cambiando tutto pur di non vederlo soffrire così.

L'unica cosa che invece riuscii a fare, fu posargli una mano sulla spalla e mormorare con voce tremante:- Mi dispiace...io...mi dispiace tantissimo.-

Questa volta il giovane non si scansò dal mio tocco, anzi poggiò la sua mano grande e calda, che per un istante smise di tremare, sulla mia:- Lo so.-

Ogni persona reagisce in modo diverso alla morte. Lui, evidentemente, da quando era uscito sul porticato di casa sua, aveva tentato di reprimere tutto: il dolore, la rabbia, la perdita. Aveva provato a trasformarsi in un automa e il tremolio delle sue dita era la prova che non ci era riuscito. Io, da quando avevo visto Fedora spegnersi, ero come paralizzata, immobile, passiva a tutto quello che mi circondava. In quei giorni non avevo avuto nè la forza di parlare, nè di agire. Mi ero rintanata a piangere e probabilmente avrei continuato a farlo, se la sua mano non si fosse stretta in quel momento sulla mia.

Quel gesto mi diede coraggio, pensando che forse il suo tenermi lontana in quei giorni fosse dovuto al suo modo di affrontare il dolore. E in quell'istante per la prima volta riuscii a reagire a quello che mi stava accadendo e non perché ne avessi bisogno io, ma perché se il mio Compagno aveva sperato di trovarmi lì, significava che aveva bisogno di me.

Mi sedetti accanto a lui in silenzio, senza scostare la mano dalla sua spalla, in attesa che parlasse, che riuscisse a sfogare il suo dolore o quanto meno a esprimerlo.

Wolf - The W seriesWhere stories live. Discover now