Capitolo 66: Lunedì, 27 febbraio 2012

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"Leo!".

La voce di Laura alle mie spalle mi mette subito all'erta. Mi volto sfoderando il mio sorriso migliore mentre penso già a come fregarla, quando mi ricordo che stavolta non occorre perché non sono in anticipo come al solito sull'orario di visita; l'autobus era in ritardo e sono già passate le sette da qualche minuto.

"Ciao" la saluto sollevando una mano.

"Ciao".

Mi avvicino di qualche passo e dopo un attimo di tentennamento le faccio quella domanda, quella che mi mette sempre un'ansia e una paura pazzesche.
"Come... come sta oggi?" le chiedo mentre rinfilo la mano in tasca e istintivamente stringo il pugno.

"Non c'è male" mi risponde lei con un sorriso rassicurante. "Ti sta aspettando."

"Ok, grazie". Percorro in fretta il corridoio ed entro nella camera della mamma senza bussare. "Ciao!"

"Ciao re Leone...!".

Cazzo, lo sa.

Mi ci gioco le palle che lo sa.

È evidente dal tono con cui mi ha salutato e anche dal modo in cui mi sta guardando.

Faccio finta di niente, mi avvicino a lei chinandomi a darle un bacio, e poi mi lascio cadere seduto sulla poltrona accanto al suo letto.

"Come stai?" le domando raccogliendo un cuscino che le è caduto mentre se lo sistemava dietro la schiena.

"Bene" mi risponde lei affrettandosi a prendere il cuscino dalle mie mani, probabilmente temendo che volessi sistemarglielo io; ma non lo avrei fatto. So benissimo che preferisce fare tutto da sola. "Tu? Tutto bene oggi a scuola?".

Ecco, lo sa per davvero. Fantastico!

"Sì sì" dico sfregandomi un occhio con la mano sinistra mentre tengo quella destra ancora in tasca. Magari mi sbaglio e non lo sa, e in questo caso non sarò certo così stupido da farmi sgamare.

"Non hai niente da raccontarmi?"

"Le solite cose... Quella di matematica ha fatto la tritapalle come sempre, ma per fortuna all'ultima ora c'era scienze motorie e..."

"Dai, basta. Fammi vedere la mano" dice allungando la sua verso di me.

"La... la mano?!" esclamo cercando di mostrarmi perplesso mentre le mostro la mano sinistra. "Perché? Che c'ha?"

"Quella niente. Voglio vedere l'altra".

Io alzo gli occhi al cielo e prendo ancora tempo. "Ma perché, scusa?!".

Ma lei insiste: "Forza!".

Io sbuffo e tiro fuori la mano destra dalla tasca, avvicinandogliela.

"Non èmessa tanto male, dai" mi dice mentre la guarda. "Pensavo peggio."

"Sta peggio la mano di quell'altro, te lo assicuro!"; io ho solo le nocche un po' scorticate.

"Me lo hanno detto"; mi rivolge uno sguardo severo, ma in realtà non mi sembra così incazzata.

"Però che palle! Avevo chiesto a papà di non dirti niente!"

"Non è stato papà."

"Ah. E chi allora?"

"Mi ha chiamata la mamma di Alberto."

"Oh ecco! Boccaccia larga come lui, proprio! Tale madre, tale figlio!".

Lei cerca di restare seria ma le sfugge un mezzo sorriso. "Voleva assicurarsi che non ti punissi."

"Ah non ti preoccupare, c'ha già pensato papà" le dico piegando le labbra in una smorfia. "Non posso uscire fino a giovedì. E fino a domenica tocca a me occuparmi di apparecchiare, sparecchiare, e della lavastoviglie! Mi ha preso per uno dei suoi sottoposti! Ci manca solo che mi faccia lavare tuttii pavimenti, guarda!".

Leo (Io non ho finito)Where stories live. Discover now