Capitolo 203: Venerdì, 13 luglio 2012

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È la quarta mattina che mi sveglio qui, e oggi la routine è finalmente cambiata: non arriva nessun infermiere a svegliarmi presto per prendersi il mio sangue e la mia pipì, così riesco a dormire fino alle 8, quando entra un'inserviente con la colazione; una vera colazione: tazza di latte (caldo e senza caffè, ma pazienza), una banana, e due fette di pane con la marmellata di fragole; niente a che vedere con il tè annacquato e i tre biscotti senza sapore di ieri mattina. Comincio a mangiare la banana mentre aspetto che il latte si raffreddi almeno un po'.

Un messaggio di Giulia mi avvisa che lei e gli altri sono già all'aeroporto, in attesa del volo per Milano che dovrebbe partire tra circa un'ora.

Io sarei dovuto essere con loro, e invece no.

Mi abbandono contro i cuscini e rimango a fissare il soffitto mentre vengo assalito improvvisamente dalla tristezza, dalla malinconia e dalla rabbia, facendo passare in secondo piano il fatto di aver potuto dormire un po' di più, di non essere stato bucato, e la mia vera colazione dopo tanti giorni.

La familiarità che comincio a provare in questa stanza non fa che alimentare il mio malessere. Non voglio che questo luogo diventi familiare.

E poi ho paura di perdere Giulia. Ho pensato che tenerla lontana avrebbe reso tutto più facile, ma forse non mi sono mai sbagliato così tanto.


"Buongiorno Leo!" esclama Ester entrando nella stanza, circa mezz'ora più tardi.

"Ciao..." risponde lui senza troppo entusiasmo.

"Beh?! Hai insistito tanto per avere da mangiare... e lasci tutto lì?!" gli chiede lei, notando il vassoio con la tazza ancora piena di latte, e il pane con la marmellata intatto.

"Mi è passata la fame" dice Leo piegando le labbra in una smorfia di disappunto.

Ester si siede sul letto, vicino a lui, e lo guarda con tenerezza: il Leone senza corazza sembra così piccolo, fragile, indifeso; la fissa con i suoi splendidi occhi verdi, ma rimane in silenzio.

"Che succede?" gli domanda facendogli una carezza sulla fronte, spostandogli un po' indietro i capelli. Sono così belli, i capelli di Leo, e all'idea che presto li perderà, si sente invadere da un profondo senso di ingiustizia. "Ti senti bene?"

"Sì..., sto bene..." risponde lui sfregandosi un occhio. "Sono solo...".

Distrutto.

Annientato.

Fottuto.

"Stanco. Sono solo parecchio stanco di stare qui."

"Capisco..." sospira lei. "Ed io che pensavo di trovarti di buon umore oggi Niente prelievo, niente flebo, super colazione..."

"Sì, infatti era così... ma dopo..." dice lui agitando in aria una mano che lascia poi ricadere contro il materasso. "Dopo mi sono ricordato che a quest'ora dovevo essere all'aeroporto, per andare a Londra con i miei amici, e invece sono costretto a stare qui. E quando loro torneranno chissà io come sarò ridotto..."

"Beh, è normale che questa cosa ti preoccupi, però..."

"No! Non sono preoccupato! Sono incazzato!" esclama alzando la voce. "Mi son già rotto le palle di tutto! Delle analisi, delle visite, di stare male, di non potermene andare da nessuna parte, di non poter dormire nel mio letto, di non poter mangiare a casa mia! Sono stufo!"

"Leo, tu hai ragione ma..."

"E che me ne faccio della ragione, eh?! Sempre qua sto! Con questo odore schifoso di disinfettante, con questo coso piantato nella mano! E sono solo all'inizio! Mi aspettano veramente mesi di merda. Di stra-merda. La Lisandri è stata fin troppo onesta con me..., ma del resto gliel'ho chiesto io...".

Leo (Io non ho finito)Where stories live. Discover now