Un'altra notte insonne.
Stavolta il dolore non c'entra, non quello fisico, almeno; per quello c'è l'antidolorifico, di cui tra l'altro i tempi tra una dose e l'altra si stanno allungando, segno che il mio corpo si sta abituando al fattore G.
Alle 3 vengo svegliato da delle urla davvero laceranti.
Mi alzo dal letto, disorientato, cercando di capire cosa stia succedendo e apro la porta. Le urla sembrano provenire dalla camera accanto.
Muovo qualche passo in quella direzione e avvicinandomi, oltre alle urla sento i pianti, i singhiozzi, il nome Luca ripetuto più volte, con tono straziante.
Rimango immobile, nello spazio tra le due camere, col respiro corto, incerto se andare a vedere oppure no, quando Laura esce proprio da quella stanza e mi vede.
"Leo, cosa fai qui?!"
"Laura, cosa..."
"Torna a letto, su!"
"È morto qualcuno? È così?" le domando con la voce che mi esce appena.
Lei annuisce in silenzio, con lo sguardo basso. "Torna in camera".
Deglutisco e le gambe mi tremano mentre torno nella mia stanza, chiudendo la porta alle mie spalle, come se potesse bastare a lasciare fuori tutto quello strazio.
Mi siedo per terra, con la schiena appoggiata alla porta, rannicchiando le gambe.
Più sento quelle urla disperate, più ho voglia di urlare anch'io.
E di scappare via, anche.
Ho voglia di scappare via urlando.
Luca.
Non lo conoscevo, non personalmente almeno, non so a che faccia corrisponda quel nome, ma di vista conosco tutti quelli del mio corridoio.
E so benissimo che nel mio corridoio siamo tutti ragazzi, più qualche bambino.
Chiunque fosse Luca non aveva più di vent'anni.
Ho la nausea e tremo.
Mi viene da vomitare, ma riesco a trattenermi.
Dopo un po' le urla si allontanano, fino a zittirsi del tutto.
Devono averlo portato in camera mortuaria.
Ripenso alla notte che è morta la mamma e a tutte le urla che ho trattenuto dentro di me, in una disperazione silenziosa.
Forse avrei dovuto urlare.
Forse mi avrebbe fatto stare meglio.
È come se quelle urla che ho trattenuto fossero ancora qui a tormentarmi, come se volessero uscire.
Mi alzo dal pavimento e mi butto sul letto, sprofondando la faccia nel cuscino.
E urlo, urlo, urlo, sperando di mandare via questa sensazione opprimente e devastante dal petto.
Vorrei urlare fino a liberarmi da tutta questa angoscia.
Tremo, mi stringo al cuscino, e capisco che non sto urlando solo per la mamma, no: sto urlando anche per me.
Perché Luca potrei essere io.
Perché anch'io sono fottutamente malato.
Perché anch'io sono in questo fottuto ospedale.
A cercare ogni giorno la forza necessaria per vivere.
Anzi no, per sopravvivere.
Perché è questo quello che sto facendo: sopravvivere.
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Leo (Io non ho finito)
FanfictionCom'era la vita di Leo, prima della terribile scoperta della Bestia? Com'è cambiata la sua vita quando si è trovato davanti ad una verità così devastante? La storia di Leo prima di Braccialetti Rossi, ma anche durante e dopo: gioie, dolori, amori, a...