Capitolo 204: Sabato, 14 luglio 2012

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Leo è in ospedale.

Da tanti giorni, ormai.

Giovedì sembrava che lo dimettessero, ma poi gli è tornata la febbre e la dottoressa ha preferito non farlo uscire.

Leo è in ospedale perché si è ammalato.

Leo ha...

Leo ha un...

Leo ha il...

Dio, non riesco neanche a pensarle, quelle maledette parole!

Che poi, non so nemmeno perché sto qui davanti alla tua tomba a parlartene. Non so che senso abbia...

Non lo so se tu riesci a vederci. Non sono mai stato un gran credente, lo sai, e al paradiso non c'ho mai creduto. Eppure... è come se adesso mi fossi quasi convinto che c'è. Se non proprio il paradiso dell'immaginario collettivo, almeno un posto dove se ne sta chi non c'è più e da dove magari riesce a vegliare sulle persone che ha amato in vita.

A volte, sai..., questo pensiero mi consola...; in qualche modo mi rassicura.

La maggior parte delle volte, però, questo pensiero mi fa ancora più male. Perché penso che se davvero tu ci vedi, in questo momento stai soffrendo come sto soffrendo io, ed è un dolore intollerabile. È un dolore che nessun genitore dovrebbe mai provare, ed è già insopportabile così. Il solo pensiero che possa provarlo anche tu, lo rende ancora più insopportabile.

È un dolore che mi piega in due, che mi spezza.

Ed ero già spezzato per te.

Ero già annientato per te.

Cosa ne rimarrà di me, io non lo so.

Non ce la faccio.

Non so nemmeno come faccio ad alzarmi ogni mattina e a riuscire a fare tutto quello che va fatto.

Che poi non è nemmeno vero che faccio tutto quello che va fatto. Ci sono momenti che mi vergogno di me stesso, che mi disprezzo, e penso che se tu davvero mi vedi, mi stai disprezzando anche tu, che stai odiando la mia debolezza, la mia codardia, la mia vigliaccheria. Ti immagino urlarmi addosso che non mi sto comportando nel modo giusto con Leo, che non basta accompagnarlo in ospedale o mettere un paio di firme per fare il mio dovere di padre, che dovrei fare molto di più, che dovrei stargli veramente vicino, e parlarci, e ascoltarlo.

Ma io non ce la faccio.

Non ce la faccio, Irene, non ce la faccio.

Sto troppo male.

E lo so che sta troppo male pure lui, e questo suo dolore mi terrorizza, mi annienta, mi lacera, e mi allontana. Non riesco a sopportarlo, non riesco a gestirlo.

Vorrei tanto che ci fossi tu.

E non è un pensiero egoista, questo, credimi.

Non ti vorrei qui per me, ti vorrei qui per lui.

Perché tu riusciresti a stargli vicino nel modo che lui ha bisogno, perché tu riusciresti a parlare con lui di quello che sta succedendo, e riusciresti ad ascoltare le sue paure, la sua rabbia, il suo dolore.

Io non ci riesco.

Tu con lui avevi un accesso privilegiato, ce l'hai sempre avuto, dal giorno che è nato.

Io non ne sono mai stato geloso né invidioso, lo sai. Era bellissimo vedervi insieme, così uniti, così complici, coi vostri segreti bisbigliati, coi vostri sguardi d'intesa, con tutte le bugie che mi dicevi per coprirlo. Guarda che lo so, che sono anni che se ne va in giro coi suoi amici in motorino, e guarda che lo so, che baravi con me sull'orario che gli davi per il rientro, così che credessi che fosse sempre puntuale. Ho sempre fatto finta di niente ma sapevo tutto. Ma eravate così belli insieme! Avevate il rapporto che io avrei sempre voluto con mia madre, che invece è sempre stata troppo madre. Tu per lui eri qualcosa di più, lui per te era qualcosa di più. Eravate due persone affini, prima ancora che essere madre e figlio. Ecco, sì, proprio questo: due persone affini.

Leo (Io non ho finito)Where stories live. Discover now