Capitolo 187: Mercoledì, 27 giugno 2012

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"Eccoci qua, questa è la tua stanza" mi dice Laura aprendo la porta della stanza numero 2, al primo piano.

La mia stanza.

Non mi piace che l'abbia appena definita così.

Asia entra, mentre io mi prendo ancora un attimo per realizzare che sono davvero qui, che devo restarci per tre giorni, e che domattina sarò in sala operatoria.

Mi decido ad entrare: è parecchio spaziosa, ha il bagno privato, le pareti colorate, due grandi finestre e due letti, uno vicino alla porta e uno vicino alla finestra, entrambi liberi; poggio il borsone sul primo letto e poi mi avvicino a una finestra per guardare fuori: dà sul parco di ulivi secolari che circonda l'ospedale; è una splendida giornata di sole ma non eccessivamente calda, e provo l'impellente voglia di uscire da questa stanza, precipitarmi là fuori e poi correre e correre in mezzo agli alberi, fino a restare senza fiato.

"Vado a prendere l'occorrente per il prelievo" mi dice Laura toccandomi su una spalla per richiamare la mia attenzione. "Così dopo puoi fare colazione. Va bene?".

Io annuisco, piegando le labbra con disappunto: avrei preferito di gran lunga essere bucato da Ester.

"Sotto il comodino c'è il pigiama. La taglia dovrebbe essere giusta, se non va bene dillo che lo cambiamo".

Annuisco anche stavolta, mentre lei se ne va, ma non ci penso proprio a mettermi quel pigiama da malato: per quanto mi riguarda, resterò in jeans e maglietta tutto il giorno, e per stanotte ho portato pantaloncini e canotta.

"Che fai?" chiedo ad Asia che sta cominciando a disfare il borsone. "Lascia stare."

"Non mi dirai che vuoi farlo tu?!" mi risponde lei, sorridendo un po' stupita.

"No, ma starò qui poco, non occorre tirare fuori tutto. Prenderò quello che mi serve quando serve."

"Ma dai, non mi costa niente farlo! Metto tutto nell'armadietto, così sta più in ordine" mi dice lei tirando fuori il beauty con la roba del bagno, e un paio di magliette.

"Ti ho detto di lasciar stare!" ribadisco alzando la voce, rificcando tutto dentro al borsone e chiudendo la cerniera.

Non voglio la mia roba in giro per questa stanza, non voglio i miei vestiti nell'armadietto, non voglio sentirmi a casa.

"Va bene, scusa" dice lei richiudendolo bene.

"Scusa tu. Ma non ce n'è bisogno. Davvero."

"Ok."

"Anzi, vai pure a casa. È inutile che te ne stai qua tutto il giorno ad appallarti! Torna stasera con papà."

"Ma... come?!" mi chiede lei prendendomi una mano. "Vuoi startene qui da solo?"

"Ho la Play, i giga sul cellulare, un paio di Dylan Dog... Sono a posto."

"Va bene" sospira Asia rassegnata. "Però aspetto che fai il prelievo, così poi andiamo al bar a fare colazione insieme. A casa ho bevuto solo il caffè, e adesso muoio di fame!"

"Ok sorellina" dico sforzandomi di sorriderle.

"Accomodati pure, io sono Orietta Greco".

Orietta è una donna sulla cinquantina, con lo sguardo buono, la voce rauca e il corpo morbido.

Ed è la mia anestesista.

Sono da poco passate le quattro del pomeriggio e io sono in giro per l'ospedale dalle otto di stamattina. Questa giornata sembra non finire più: dopo aver regalato un altro po' del mio sangue e aver fatto pipì in un contenitore, è stato il turno della radiografia toracica e dell'elettrocardiogramma; e adesso sono qui, seduto davanti a Orietta che sta esaminando la mia cartella clinica.

Leo (Io non ho finito)Where stories live. Discover now