Capitolo 185: Lunedì, 25 giugno 2012

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Non appena entro nello studio della Lisandri, rimango bloccato sull'uscio notando che stavolta non è da sola. Dietro la scrivania, seduto accanto a lei, c'è il dottor Abele, e io so benissimo chi è: il chirurgo ortopedico che ha operato la mamma più di una volta; mi ha sempre ispirato fiducia e sicurezza a pelle, ma adesso le mie sensazioni sono ben diverse.

"Buongiorno" dico rendendomi subito conto di come mi tremi la voce e di come anche le mie gambe non scherzino.

Lui risponde al saluto con la sua voce calda e pacata, mentre la Lisandri mi rivolge un sorrisetto nervoso: "Ciao Leo. C'è tuo padre lì fuori?"

"Sì...".

Il mio cuore sta battendo all'impazzata mentre mi sforzo di camminare verso di loro senza lasciar trapelare la mia agitazione.

"Sarebbe preferibile che entrasse anche lui."

"No" dico restando in piedi davanti alla scrivania. È come se torreggiare su di loro mi desse più forza.

Lei mi guarda con indulgenza, togliendosi gli occhiali: "Stavolta non posso negoziare, Leo. Dobbiamo parlare di cose importanti e dev'esserci anche tuo padre."

"Come se le altre volte avessimo parlato del tempo!" esclamo esasperato. "Oh, andiamo! Ce l'ho fatta da solo le altre volte e ce la farò anche oggi!"

"Abbiamo bisogno di parlare con tuo padre" insiste lei. "Ti ricordo che sei minorenne".

E davanti a quest'evidenza rischio di crollare.

Sono minorenne.

Quindi loro ritengono di dover parlare con mio padre.

Quindi loro sono tenuti a parlare con mio padre.

E quindi io non posso farci un bel niente.

Questa cosa non mi va giù.

Non mi può andare giù.

"Dopo!" dico battendo la mano sulla scrivania, in un ulteriore tentativo di non resa.

La Lisandri mi lancia un'occhiata interrogativa: "Come sarebbe?"

"Ok, siete tenuti a parlare con lui..., va bene. Però... dopo. Parlate prima con me!" esclamo puntandomi l'indice contro il petto, come a voler dare più forza alle mie parole, mentre sposto lo sguardo da una all'altro.

Il dottor Abele abbozza un sorriso scuotendo la testa: "Certo che ti hanno dato proprio il nome giusto, eh?!"; si volta verso la Lisandri e le fa un cenno d'assenso.

"E va bene, Leo" si arrende lei. "Siediti".

Ho ottenuto quello che voglio.

Ma è una vittoria amara.

Non mi sento per niente vincente.

Mi siedo di fronte a loro, teso, con le spalle rigide, senza appoggiarmi allo schienale della sedia.

Lo sguardo della Lisandri mi mette a disagio, non preannuncia nulla di buono.

"Leo, conosci il dottor Abele?"

"Sì. Ha operato mia madre."

"La dottoressa Lisandri mi ha consultato in seguito all'esito della tac e della risonanza magnetica che hai fatto qualche giorno fa" interviene lui.

"Purtroppo le immagini ottenute non ci hanno permesso di escludere l'eventualità che si tratti di un tumore" continua la Lisandri. "Quindi si rende necessaria la biopsia ossea".

I battiti del mio cuore, se possibile, accelerano ancora di più.

La paura, che negli ultimi giorni sono riuscito in qualche modo a controllare, torna, all'improvviso. Torna, prepotente, e mi schiaccia.

Leo (Io non ho finito)Where stories live. Discover now