Capitolo 209: Giovedì, 19 luglio 2012

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Mi sveglio in piena notte, battendo i denti dal freddo come se fosse inverno e qualcuno avesse spalancato la finestra. Impiego qualche secondo per realizzare che invece siamo in piena estate e sono in ospedale.

Mi tiro su a sedere con la testa che mi gira e noto che sull'altro letto sta dormendo Asia.

Sono scosso dai brividi.

Devo avere la febbre alta.

Ho male ovunque.

Il dolore è fortissimo, da mandarmi giù di testa.

Credevo di essere forte e sicuro come un uomo, ma adesso avrei solo voglia di piangere tra le braccia della mia mamma, come un bambino.

Mi sento annegare.

Non la voglio una vita così.

Non riesco più a trattenere le lacrime e nemmeno i singhiozzi.

Piango.


La voce preoccupata di Asia mi riscuote: "Leo... Stai bene?".

Ho completamente perso il senso della realtà, non so nemmeno dire quando lei si sia svegliata e si sia alzata dal letto, avvicinandosi al mio, fatto sta che adesso è accanto a me, con la voce tesa e turbata.

"Leo, rispondimi, mi devo preoccupare?".

"No..."

"Non ti senti bene? Non posso aiutarti se non mi parli!"

"Non mi serve nessun aiuto!" rispondo esasperato. "Non so nemmeno perché sei rimasta a dormire qui! Non ce n'era bisogno!".

Non riesco a muovermi né a smettere di piangere.

Non voglio che lei mi veda in queste condizioni.

"Per favore Leo, non farlo. Non chiuderti in te stesso come fai sempre...".

Mi sento un coglione.

Perché la sto trattando male?

Non ce l'ho con lei.

Non ce l'ho mai con lei.

"Mi dispiace" sospiro. "Non sto bene."

"Cosa ti senti?" mi domanda accarezzandomi i capelli.

"Ho male dappertutto, mi gira la testa, ho i brividi... Penso di avere la febbre".

E mi sento annegare.

"Chiamo Laura" dice dopo avermi toccato la fronte.

"No..." mormoro. "Non voglio che mi veda così."

"Non era una domanda. Devo chiamare Laura. Non è il momento per fare l'ostinato!"

"Dammi cinque minuti"; suona quasi come una supplica, e in fondo lo è. "Vado a lavarmi la faccia".

Asia è perplessa e rimane immobile e in silenzio per qualche secondo, come se stesse elaborando quello che le ho chiesto; quando intercetta il mio sguardo disperato, abbassa gli occhi e annuisce.

"Ce la fai ad alzarti?" mi domanda con un tremito di apprensione nella voce.

La stessa apprensione che si impossessa di me subito dopo: ce la faccio ad alzarmi?

"Sì" rispondo anche se non ne sono affatto sicuro.

Mi alzo lentamente e, seppure a fatica e tremando, riesco a raggiungere il bagno, trascinando dietro di me la flebo. Apro il rubinetto del lavandino, ma mentre mi chino per lavarmi la faccia sento lo stomaco smuoversi e quell'orrenda sensazione che ormai conosco benissimo.

Leo (Io non ho finito)Where stories live. Discover now