Capitolo 196: Venerdì, 6 luglio 2012

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Fisso il soffitto della mia stanza senza decidermi ad alzarmi. La sveglia è già suonata due volte e due volte l'ho spenta. Oggi è il giorno della Verità e non ho per niente voglia di alzarmi. Ufficialmente, il giorno della Verità è stato lunedì, con quella cazzo di diagnosi che non mi lascia scampo, ma oggi saprò per davvero che schifo di estate mi aspetta.

Che schifo di destino mi aspetta.

Sul fatto che debba fare la chemio pare non ci siano dubbi, posso solo sperare in un miracolo; sperare che la pet abbia smentito tutto, che gli altri esami che ho fatto non fossero attendibili, che nemmeno il pezzo d'osso che mi hanno preso fosse attendibile: "Scusaci Leo, ci siamo sbagliati! Sei sano come un pesce: vai, e goditi l'estate! L'unica rogna che avrai sarà quella di non poter fare il bagno per altre due settimane, per colpa dell'inutile intervento alla gamba, ma per il resto vai e sii felice!".

Sì, nei miei sogni, proprio!

La realtà è ben diversa.

La realtà fa schifo.

"Leo, è ora che ti alzi!"; la voce di papà mi giunge forte e chiara dalla cucina; dieci minuti fa è venuto a chiamarmi e poi ha lasciato la porta aperta.

"Sì..." gli rispondo senza troppa convinzione, mentre ancora prendo tempo. Ho una paura fottuta di tutto quello che mi aspetta da adesso in poi, di sapere quanto è effettivamente stronza la Bestia, e di quanto sarà difficile e sanguinosa questa guerra che non ho scelto di combattere.

"Leo, dai! Ti ho preso i cornetti!".

Mi ha preso i cornetti.

Anche se non è domenica.

Mi viene da sorridere per questa sua premura, per i gesti goffi che fa cercando di compensare le cose che non riesce a dirmi e la forza che non riesce a darmi; mi ha preso i cornetti: pure più di uno, a quanto pare. Anche se ultimamente faccio fatica a mangiare, anche se lo faccio giusto perché devo, il minimo indispensabile, senza la mia solita voglia... Spera che con i cornetti mi torni l'appetito?

Sospiro e mi alzo: "Arrivo!"; forse almeno uno riuscirò a mangiarlo.


Per tutto il viaggio verso l'ospedale, io e papà rimaniamo in silenzio; lui appare molto concentrato sulla strada e io sono alle prese con la nausea, quasi pentito di aver mangiato un intero cornetto alla crema: pare sia stato troppo, e la tensione che ho addosso non mi aiuta di certo a digerirlo.

Quando arriviamo è anche peggio, mi viene persino da vomitare eme ne sto almeno un quarto d'ora in bagno, con la sensazione di dover vomitare da un momento all'altro, anche se poi non succede e mi decido ad uscire, dopo essermi bagnato la faccia con l'acqua fredda. Vado alla macchinetta a prendermi una Coca e me la bevo seduto fuori dallo studio della Lisandri, cominciando ad avvertire un po' di sollievo, mentre papà guarda nervosamente l'orologio perché siamo già in ritardo di cinque minuti.

"Tanto non scappano" gli dico piegando le labbra di lato.

"No, però..."

"Preferisci se gli vomito davanti?!" gli chiedo con tono polemico. "Io dico che loro piuttosto preferiscono aspettare."

"Senti, vuoi... Vuoi che entri solo io? Vuoi aspettarmi qui?".

Io lo guardo allibito, anche se in parte apprezzo il suo tentativo di proteggermi.

In parte.

"Ma che dici?! Si tratta di me! Al massimo quello che deve aspettare fuori sei tu!"

"Ho pensato che forse..., non lo so, magari preferisci sapere le cose per gradi."

Leo (Io non ho finito)Where stories live. Discover now