Capitolo 182: Venerdì, 22 giugno 2012

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"Leo!" mi chiama papà dalla cucina. "Andiamo?"

"Sì, arrivo!" rispondo io dal bagno.

"Dai, che facciamo tardi! Non sei ancora pronto?"

"Ho detto che arrivo!" dico alzando la voce mentre me ne sto immobile davanti allo specchio. "Sono pronto! Arrivo!".

No, non è vero, non sono pronto. Non lo sono affatto.

Non sono pronto a rimettere piede per l'ennesima volta in ospedale; è la quinta volta in otto giorni e mi sembra decisamente troppo.

Non sono pronto a passare mezza mattina dentro a quei tuboni a farmi analizzare la gamba. Non so nemmeno se lo voglio sapere davvero, che cos'ha la mia gamba.

Non sono pronto nemmeno a questo.

"Leo!"

"Sì sì, arrivo!"; non mi ero nemmeno accorto di stare stringendo fortissimo il bordo del lavandino e che le nocche mi sono diventate bianche. Fisso il mio sguardo allo specchio: ho gli occhi rossi e le occhiaie perché stanotte non ho dormito un cazzo. Provo a fare un respiro profondo ma sono a corto di fiato e sento un senso di oppressione al petto.

"Leo!"; adesso papà sta bussando alla porta.

Ok, sia come sia, è ora di andare.


L'attesa fuori da Radiologia è infinita.

In realtà mi tocca aspettare solo per dieci minuti, ma mi sembrano davvero eterni. Poi la porta si apre e un'infermiera mi chiama; è Benedetta, la stessa che c'era l'altro giorno quando sono venuto a fare la radiografia. Papà aspetta fuori senza bisogno che glielo dica, e io seguo Benedetta fino a un corridoio con tante porte.

"Ecco qua" mi dice aprendone una con su scritto Spogliatoio ,e io entro con passo incerto; è una stanza piccola, squallida, con una luce fredda e fastidiosa; unico arredamento: una panchetta, uno specchio e un attaccapanni con appeso un orribile camice celestino. "Spogliati pure e indossa il camice, io ti aspetto qua fuori."

"Ma devo metterlo per forza?!" le domando io che non ho per niente voglia di indossare quell'orrore. "Non posso tenere i miei vestiti?"

"No, non puoi. Togli anche il braccialetto ed eventuali catenine".

Io sbuffo ed alzo gli occhi al cielo. "Aspetta!" le dico mentre sta per richiudere la porta. "Ma almeno i boxer posso tenerli?".

Lei accenna un sorriso e annuisce: "Sì, quelli puoi tenerli. E anche i calzini".

Benedetta richiude la porta e io resto solo con me stesso, di nuovo davanti allo specchio, come prima a casa.

Io e me stesso.

E quello che potrebbe essere.

"Temiamo possa trattarsi di un tumore alla tibia".

Chiudo gli occhi e mi porto le mani alla testa, sospirando profondamente.

"Mia madre aveva un tumore alle ossa."

"...può esistere comunque una certa familiarità".

La mia stessa voce e quella della Lisandri mi rimbombano in testa; riapro gli occhi, mi guardo, ho un'espressione così angosciata, da giorni, e non riesco a mandarla via.

"Aspettiamo."

"Magari ci stiamo allarmando per niente."

"Magari ci stiamo sbagliando".

Magari.

Magari ho solo preso una botta e non mi ricordo nemmeno quando.

Magari ho solo fatto un movimento sbagliato mentre correvo.

Leo (Io non ho finito)Where stories live. Discover now