Capitolo 15- Che sia davvero il ricercato killer?

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Aspettai diversi minuti, lasciando che si calmasse: per qualche motivo, sentivo di non dovermi avvicinare prima di quel momento

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Aspettai diversi minuti, lasciando che si calmasse: per qualche motivo, sentivo di non dovermi avvicinare prima di quel momento.

Appariva come un nervo, teso e pronto ad esplodere al minimo stuzzicare.

Solo quando lo vidi passarsi le mani tra i capelli decisi di avvicinarmi, seppure nella maniera più cauta esistente.

Avrei voluto porgergli tante domande, chiedergli che era successo esattamente, chi fosse lo sconosciuto... Ma semplicemente afferrai la sua mano, portandolo a guardarmi negli occhi.

Abbozzò un sorriso con cui cercò di rassicurarmi, ma il risultato fu tutto il contrario.

-É tutto ok?- chiesi in un sussurro, stringendo ancora la sua mano, aumentando la forza della presa, seppur non di molto per evitare che potesse infastidirlo.

Lui si limitò ad annuire e la prima cosa che feci fu quella di lasciare la presa e mettermi a raccogliere le cose cadute.

Individuai altre garze e delle gocce di sangue a terra: chiunque fosse entrato, era stato sicuramente ferito e ... Non aveva delle garze in casa.

Avevo decisamente capito il fatto che fosse un ladro, ma... Il fatto che era ferito e che fosse venuto al magazzino, sapendo benissimo del rischio che correva, mi turbava.

O era un pazzo, o un disperato: cioè, chi sarebbe venuto a rubare delle garze?

Solo quando notai che, andando avanti, vi erano delle armi a destra e manca, cambiai totalmente idea.

Non aveva decisamente rubato soltanto qualcosa per chiudersi i tagli...

E forse iniziavo anche a capire chi potesse essere.

"Armato, ferito, ruba, scappa subito, Maximilian urla di rabbia... Che sia stato davvero il ricercato killer?"

La tesi stava in piedi, ma non ne ero sicura.

Continuai a ragionare in silenzio, spostando ciò che trovavo nello scatolone su cui era scritto il nome dell'oggetto.

Da come le cose erano gettate, mi riuscivo ad immaginare uno sconosciuto in tutta fretta che disperatamente cercava ciò di cui aveva necessità.

Mi distolsi da questi pensieri quando vidi Max alle mie spalle che prendeva a sistemare le bottiglie dentro al sacchetto che aveva calciato, rimanendo nel silenzio più assoluto.

Sembrava decisamente più calmo, anche di più di quando gli avevo dato la mano.

Dopo minuti e minuti in cui sistemammo, tornammo in cucina, pronti a mangiare ciò che lui stesso aveva cucinato.

Ero estremamente curiosa di sapere che sapore potesse avere.

*

Il periodo dalle due alle sette, volò di una fretta che neppure lo vidi, un attimo prima avevo ancora cinque ore buone, un attimo dopo erano sparite, rivelandosi perfino una mezz'ora più tardi del dovuto: io e Max eravamo riusciti a distogliere l'attenzione dall'avvenimento ed eravamo tornati al chiacchierare tranquillo già avuto in precedenza.

-Sei sicura di non voler anche cenare qui? É tardi- commentò preoccupato, con il fumo che scivolava fuori per via del tiro appena fatto.

-Sí. Sono sicura, mi sento già in colpa perché... mi sento come se avessi approfittato troppo della tua gentilezza e... Comunque, proprio perché si sta facendo tardi, preferisco muovermi a tornare a casa. Volevo... Beh... Volevo ringraziarti della magnifica giornata, mi sono divertita molto... Max-

-Anche io- il castano sorrise -Beh, se dovessi cambiare idea, puoi tornare indietro, sai dove trovarmi.-

-Certo- asserii.

Feci qualche passo in sua direzione, poi mi bloccai, contenendo le pretese stupide che mi sfarfallavano per la testa.

Non potevo chiedere un bacio, nossignore, non al primo giorno.

Decisi dunque di indietreggiare di qualche piccolo passo.

Mi era così vicino che mi sembrava di stare impazzendo, soprattutto per via della posizione in cui era messo: gambe incrociate, schiena appoggiata al muro, braccia strette tra di loro, con la cicca nuovamente tra le labbra.

In un certo senso, invidiavo quella sigaretta: lei aveva un posto fisso su quella bocca rosea e meravigliosa che io, al momento, potevo solo osservare ed aspettare.

Mi riscossi dal pensiero rapidamente, facendo un passo indietro, salutando con un rapido cenno di mano, per poi girarmi con il cuore che batteva nel mio petto così forte da sembrare un tamburo.

Pareva stesse per esplodere: una bomba ad orologeria non era per nulla paragonabile alla sensazione che quel gongolare sfrenato e urlante del muscolo mi trasmetteva.

Mi allontanai ancora un po', trattenendo perfino il mio stesso respiro durante i passi, sorridendo probabilmente come un ebete.

Ero sicura che appena fossi tornata in casa, la casa-casa, quella nella realtà, sarei potuta anche starmene sul letto, sdraiata, stringendo il cuscino con tutta me stessa, come se quel cuscino fosse stato lui.

Poi avrei anche iniziato a lanciare gridolini isterici, ma quello era un dettaglio.

Il primo giorno di route era stato magnifico: quasi perfetto.

Raggiunsi l'appartamento di salvataggio in un tempo scostante.

C'erano istanti in cui mi sembrava di andare a rallentatore, altri in cui credevo di star correndo per come le mie gambe bruciavano dallo sforzo e da come il mondo sembrava muoversi, correndo a sua volta con me, dandomi una sensazione di euforia assolutamente assurda.

Avrei voluto urlare, piangere e ridere all'unisono, la felicità che provavo era così innaturale da sembrare perfino impossibile da sentire.

Eppure era così: ero un idiota, piena di gioia, piena di entusiasmo: non ero mai stata così in tutta la mia vita, non potevo chiedere di meglio.

"Chissà come andrà domani. E dopodomani. E dopodomani ancora... No, Natalie, se non vuoi perderti, non iniziare a lavorare di fantasia proprio ora!"

Mi dissi mentalmente su almeno una decina di volte con i peggiori insulti, raggiungendo la meta tanto desiderata.

Lì potevo urlare: lì potevo decisamente urlare tutto quello che mi passava per la testa.

Potevo ballare, cantare, correre per casa, fare fantasie, rompere qualcosa... Tanto non c'era nessuno che potesse dirmi di stare zitta o di calmarmi, o ancora che mi prendesse palesemente per i fondelli.

Aprire l'appartamento e farsi strada in esso era decisamente sempre la parte più complicata, poi lanciarsi sul materasso era la cosa più semplice del mondo.

-Vuoi attuare un salvataggio?- chiese la voce robotica con tono monotono e quasi ripetitivo.

-Sí- feci allegramente, agitando le gambe, mettendo da parte il fastidio che la robot mi provocava.

-Vuoi uscire dal gioco?-

-Sí- dissi ancora, dando conferma e sospirando al vedere la luce spegnersi.


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