Capitolo 119- Suono acustico

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Luci blu e rosse si alternavano a ripetizione.

Una sirena, tante persone che scivolavano fuori e dentro dalla stanza con passo affrettato.

Un vociare di sottofondo nel caos più totale, l'aria sembrava così rarefatta da risultare irrespirabile, seppur non vi fosse fumo, non vi fosse nulla a macchiarla e renderla diversa, se non troppe presenze in uno spazio che non era neppure stretto.

Un imprecare e diverse grida, forse per parlare tra di loro, forse per altre motivazioni sconosciute.

Portiere che sbattevano, altre persone che sparivano.

Un dimenarsi, altre urla, qualcuno che perdeva i sensi, lasciando tutto il caos e solo il caos che prima che si riuscisse ad acquietare ci vollero ore, o forse non ore, ma comunque una quantità di tempo che parve durar troppo a lungo per essere solo definibile con tre, quattro, o anche solo una quindicina di minuti.

Una volta che tutto si fu calmato, vi era solo un ronzare: un suono lieve, anche questo annullato ben presto, spento ed abbandonato per diventare una memoria e poco più, chiuso definitivamente con un nastro giallo e nero.

Un suono acustico, seguito da un altro ed un altro ancora mi lasciarono in uno stato di dormiveglia, circondata dal buio più assoluto, ma parzialmente cosciente

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Un suono acustico, seguito da un altro ed un altro ancora mi lasciarono in uno stato di dormiveglia, circondata dal buio più assoluto, ma parzialmente cosciente.

Era un suono così fastidioso che avrei voluto poter interromperlo, ma alla fine realizzai che cosa quel bip costante e ripetitivo stava a simboleggiare e non potei non agitarmi, con una serie quasi infinita di punti di domanda che mi si accendevano nella testa.

Alzai le palpebre di scatto, tornando a chiuderle nel momento esatto in cui una frustrante luce bianca mi attraversò la vista, accecandomi con intensità indesiderata, tale da portarmi via un lamento.

Cercai di coprirmi il volto con la mano o in generale il braccio, ma risultò letteralmente impossibile, sicché tutti e due i miei arti superiori erano tenuti fermi con... Lacci?

"Perchè sono legata? Cosa significa?"

Il mio fiato quasi mi si interruppe in gola nel momento in cui percepii una voce in sottofondo, quasi di qualcuno posto sott'acqua, chiamare il mio nome, chiedendo qualcosa che non comprendevo di preciso, siccome a quel punto essa si era tramutata in un borbottio incomprensibile.

Riconobbi la voce solo dopo che i miei occhi la collegarono con una faccia, riuscendo finalmente ad adattarsi all'aurea bianca proveniente dal soffitto e a quella nata dalla finestra, leggermente socchiusa, che metteva in mostra un clima soleggiato, da pomeriggio.

Mi ritrovai a fissare quella persona, stralunata, non sapendo di preciso cosa pensare, nè tantomeno avendo un accenno di comprensione.

Non ero spaventata, questo no, ma non avevo chiarezza alcuna da nessuna parte, quindi, piuttosto, potevo definirmi allarmata.

-S... Summer?- asserii con voce rotta, aggrottando la fronte e tossicchiando nel tentativo di riottenere una voce normale, tentando perlopiù di mettermi seduta, fallendo miseramente in entrambe - Perché... - deglutii - Perché sono in un lettino da ospedale? E perché ho i polsi... ?- posai lo sguardo sui lacci neri, fissandoli duramente, sempre la fronte contratta.

Udii un verso che sembrava una risata soffocata, qualcosa che mi fece alzare lo sguardo, individuando la seconda figura nella stanza che in precedenza non avevo notato.

Alex, seduto nella sedia affianco alla porta, battendo il piede contro il pavimento, con un espressione illeggibile.

Non sapevo definire se era arrabbiato con me o meno, ma se dovevo essere sincera non me ne fregava un fico secco del suo parere, non per il momento, piuttosto volevo capire il significato della risata e del perché ero stata legata al letto come una criminale o cose del genere.

- Bhe, se non lo avessero fatto avresti continuato a dimenarti come una pazza, quindi... -

"Ah... Aspetta che?"

-... Dimenarmi? - guardai mio fratello dritto negli occhi, ancora più confusa.

-Sì. Dimenarti. Non volevi lasciare ai dottori e ai poliziotti quel tizio, nonostante volessero solo salvargli il didietro, visto che pareva praticamente mezzo deceduto... Ed in generale non volevi proprio che lo toccassero. Ma non sembravi molto in te, in quei momenti, quindi non mi meraviglia che non lo ricordi. Cazzo, hai quasi castrato un trentenne con un calcio! Gli hai tolto la possibilità di avere figli, povero cristo-

Okay.

Non ci stavo capendo proprio niente, zero, zero spaccato.

L'ultimo ricordo che avevo era... Un salto.

"Un salto? Perché un salto?"

Non riuscivo a capirlo, come se una foschia pesante mi occupasse il cervello, annebbiandolo.

E poi giunse, come un fulmine in mezzo a nuvole nere e minacciose, una scarica brillante di qualche secondo, ma capace di illuminare e rendere visibile il paesaggio tutto attorno.

'Non volevi lasciare ai dottori e ai poliziotti quel tizio, nonostante volessero solo salvargli il didietro'

L'immagine mentale di me stessa che saltavo, cercando di afferrare la mano di Philip, Philip che riusciva ad afferrarmi per un pelo e che mi aveva letteralmente trascinata fuori dal portale.

Io che sentivo in bruciare allucinante nella testa appena sfuggivo al dentro del videogioco, sorretta dal biondo, il quale permetteva al portale di chiudersi.

Io che mi trovavo davanti ad un numero assurdo di poliziotti, alcuni che trascinavano fuori persone con manette attorno ai polsi.

Summer ed Alex che mi vedevano, facendo per avvicinarsi e spintonando tra la folla, la corvina che mi sorrideva come se fosse soddisfatta - se di sé stessa o di me, non era chiaro. Poteva esserlo però, di sé, siccome, proprio come gli avevo detto, aveva chiamato la polizia-.

Un uomo in uniforme, alto e muscoloso, che mi si piazzava davanti e che cercava di prelevare colui che era ancora appoggiato alle mie spalle.

Qualcosa che scattava in me ed il tentativo di difendermi dall'uomo, mollandogli un calcio in mezzo alle gambe.

E poi la lotta contro molti altri dei poliziotti e dottori che cercavano di tenermi ferma e di prendere via la persona che sorreggevo, la persona che non volevo mi portassero via per poi farla magari sparire nel nulla, la persona per cui mi agitavo, sempre attenta allo stesso tempo a non farlo cadere.

Colui per cui mi avevano sedata, alla fine.

Colui che, adesso, non avevo idea di come potesse stare.

-Do... Do... Dov'è- balbettai, inghiottendo a vuoto - Dov'è Lysander? -

 Dov'è- balbettai, inghiottendo a vuoto - Dov'è Lysander? -

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