Capitolo 34- Quell'amico

160 29 32
                                    

"Nicholas

Oops! This image does not follow our content guidelines. To continue publishing, please remove it or upload a different image.

"Nicholas. Non può essere una coincidenza. Questo decisamente significa qualcosa e inizio ad essere sempre più sicura che Philip sia davvero l'amico di infanzia di cui aveva parlato."

-Ohi ragazza, ho preso lo spartito, dovremmo tornare indietro- fece Jacop con tono leggermente preoccupato.

Praticamente lo ignorai, cercando di ragionare sui pezzi di situazione che si sommavano gli uni sugli altri .

"Che ci sia qualcos'altro su questo piano? Dovrei togliere completamente il telo..."

Mi grattai il capo, continuando a guardare la parte visibile dello strumento musicale, parecchio combattuta dalla indecisione che duellava con una certa foga nel mio cervello.

"Lo faccio? O no? Vorrei, ma..."

Presi a sollevare un altro po', ma poi mi bloccai di netto da ciò che stavo facendo, lasciando però sempre sollevato, seppur parzialmente, il telo.

Rimasi bloccata lì, non sapendo esattamente che fare.

" Davvero, potrei ... Ma teoricamente sarebbe meglio di no, altrimenti poi magari lui..."

-Scusatemi... Potrei sapere come mai siete qui, per cortesia?-

"Oh, cazzo"

La voce di Philip saltó su all'improvviso, portandomi istantaneamente a sobbalzare dalla sorpresa, girandomi in sua direzione e notandolo con completo disagio.

Quando era entrato?

Beh, decisamente non era questo l'importante in sé: il biondo aveva uno sguardo decisamente serio e freddo, pungente e gelido come una lastra di ghiaccio, quasi assassino per come questo si fosse assottigliato.

Non era rabbia, né nervosismo che dimorava in quegli occhi, ma un distacco incomparabile e pericoloso.

Sembrava essere capace di strangolarci senza battere ciglio.

Guardava principalmente me e il lembo di stoffa che sollevavo: il quale mollai come se mi fossi scottata, un gesto fatto per istinto.

-Ehm...- iniziai, boccheggiando, poco prima che Jacop si mettesse in mezzo.

-Siamo entrati per recuperare lo spartito di Beethoven, capitano. Mi è stato chiesto da Taylor- prese fiato egli, piazzandomisi davanti quasi a protezione.

Lo sguardo del capitano era comunque capace di mandare brividi di paura per tutta la spina dorsale fino a far rizzare tutti i capelli, accompagnati da pelle d'oca.

Iniziavo nettamente a pensare di averla fatta molto, molto grossa.

-E vorreste spiegarmi, per cortesia, cosa implicasse in questo compito il mio pianoforte?- il tono era tra il sarcasmo e il disprezzo, con un aggiunta di minaccia che mi rendeva sempre più in ansia.

Mandai giù la saliva a stento.

Dovevo giustificare il mio gesto? Beh.

All'inizio era stato per curiosità... Poi ... Era stato tutto istinto e poca responsabilità.

Provai a parlare di nuovo, ma Jacop parlò sempre prima di me.

-Me ne assumo io la responsabilità, avrei dovuto dirglielo all'entrata. Non lo sapeva-

Guardai Jacop, sentendomi confusa.

Perché mi stava proteggendo? Non gli avevo fatto niente per portarlo ad aiutarmi, soprattutto con il rischio di finire nei guai in questa maniera con il suo capitano.

-N...no!- asserii di colpo, abbastanza agitata -Non è stata colpa sua. Okay che magari non me lo aveva detto, ma poi ho fatto tutto da sola. Jacop non c'entra-

Philip non parve cambiare espressione a questo battibecco, tantomeno il suo sguardo parve farlo, ma notavo che mi stava ascoltando dal fatto che si era fermato sul posto dall'iniziale avanzare lento in nostra direzione.

-Semplicemente...- continuai io, scostandomi dalla protezione dell'uomo con la benda, il quale mi osservò con silenziosa preoccupazione -Ho letto il nome che é inciso sul pianoforte... E io conosco uno che si chiama così, il quale mi ha detto di aver avuto un amico da piccolo che suonava tre strumenti musicali-

Di colpo, appena dissi ciò, vidi la sua espressione cambiare di netto, risultando meno fredda, piú sorpresa e confusa, decisamente turbata da ciò che stavo dicendo.

-Questo suo amico lo aveva invitato a stare con lui fino a che non fu obbligato a partire dai genitori... E a detta sua, lo credette morto, siccome la nave in cui si era imbarcato era stata distrutta-

L'espressione di Philip si piegò vistosamente, diventando tale da sembrare immersa in un dolore che mi piegò lo stomaco.

-Quell'amico... Sei tu?-

Lui non rispose, stringendo i pugni e guardando in basso, con la mandibola così contratta che sembrava impossibile permetterle anche solo un movimento.

Fissava il suolo con uno sguardo che mi lasciava sempre più senza fiato.

Rimase in silenzio per diverso tempo, poi alzò nuovamente il capo e sospirando annuí.

-Sí. Sono... Sono io quell'amico. Sono quello che non é riuscito a ribellarsi dall'idea dei genitori, lasciando solo l'unico amico che io abbia mai avuto nella mia infanzia. Sono quello che ha voluto scappare dalla nave poco dopo che era salpata e che si è gettato giù dall'oblò, vedendo poi quella stessa nave venir affondata da delle cannonate. - rise, ma nessuna felicità emerse dalla sua risata, la quale fu terribilmente amara nelle sue sfaccettature -Sono quello che non sapeva nuotare e che credeva di star per morire a sua volta, ma che è stato salvato dallo stesso uomo che ha ucciso i miei genitori. E soprattutto sono quello che non è tornato indietro a cercarlo per vergogna-

-Ma... Perché avresti dovuto vergognarti? Lui sarebbe stato felice se ti avesse saputo vivo! Ha sofferto tanto e... Perderti lo ha fatto soffrire anche di più!-

Philip scosse la testa più e più volte, quasi meccanicamente, gli occhi improvvisamente chiusi, per non dire serrati.

-Meglio perderle che averle le persone come me.-

''Cosa?"

Il commento mi spiazzò.

Mi spiazzò così tanto che sentivo come se il mio cervello fosse partito e non trovasse più il collegamento.

Perché la pensava così? Io non lo capivo proprio.

Lo vidi girarsi e istantaneamente scossi la testa, prendendo a correre in sua direzione fino ad essergli davanti, fissandolo da vicino per solo qualche istante, guardando l'espressione impassibile e incomprensibile.

Quasi d'istinto, gli mollai uno schiaffo dritto in volto.

Il ciocco risuonò nella stanza come un eco.

-Stai mentendo a te stesso! Svegliati, cazzo!- scattai con durezza. -Quello che hai detto non ha alcun senso!-

Lui mi tornò a guardare dritto negli occhi, dapprima con shock, sorpresa e confusione, poi con un che di arrabbiato, testimoni il ritorno delle mani chiuse a pugno e dello sguardo irritato, per poi scostare la testa, guardando altrove nel più totale dei silenzi.

E proprio in quel momento, finalmente giunsero: lacrime.

Ventiquattr'oreWhere stories live. Discover now