Capitolo 35- Era un chiodo fisso

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La sensazione dello schiaffo vibrava ancora sulla mia pelle e il mio stesso corpo mi pregava di ingoiare tutto

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La sensazione dello schiaffo vibrava ancora sulla mia pelle e il mio stesso corpo mi pregava di ingoiare tutto.

Ingoiare la sensazione di voler sfuggire.

Ingoiare il rimorso che insistentemente picchiava contro allo stomaco.

Ingoiare le parole che sarebbero potute scivolarmi fuori dalle labbra per un ennesima volta.

Tutto sembrava una tempesta che infuriava nel mio cervello, depositando immagini dopo immagini, seppur sfocate dagli anni passati, a tratti quasi luccicanti o troppo vaghe, effetto che poteva essere dovuto allo shock.

Gli occhi mi pizzicavano e in maniera ardua resistevano dal gettare fuori.

Ed ero arrabbiato.

Arrabbiato per questo con me stesso, arrabbiato con quella ragazza di cui non conoscevo neppure il nome per il semplice motivo di aver gettato ai quattro venti ciò che avevo sepolto, limitandomi a contenerlo nella solitudine di una scatola anche troppo piccola, lasciata leggermente aperta solo nei momenti in cui le mie mani andavano a cercare i tasti di Nicholas.

Nessuno avrebbe dovuto aprirla più di quello spiffero.

Nessuno.

Repressi la rabbia e la frustrazione semplicemente stringendo i pugni, ma appena lo feci, iniziarono.

Iniziarono le immagini che trattavano di me, di Nicholas... Sapendo che tutto era cambiato da fin troppo tempo, avrei dovuto esservi abituato, ma il peso... Quell'enorme peso, un macigno che si bloccava all'altezza del petto, calpestando ogni cosa che poteva trovare, beh, quello era lí, di nuovo.

Rimuoverlo non era mai facile, ma questa volta sembrava anche mille volte peggio rispetto al solito.

Mi ritrovai a guardare irritato la ragazza, per poi sentire che tutto quello che stava accadendo non era colpa sua, non lo era.

Era solo colpa mia.

Mia.

Percepii gli occhi pizzicare e cercai di cancellare le emozioni per fermare le lacrime che premevano, ma senza risultati.

Erano anche loro lì: non scendevano ancora, non volevo permetterlo.

Eppure... Bastò un ennesima immagine a flash, quasi incisa nella mia testa, in cui vedevo l'espressione allegra di Nicholas mentre suonavo, cercando di insegnargli a sua volta, accompagnata dalle risate di sfondo, per lasciarle libere.

Lacrime.

Lacrime che mi attraversavano le goti stupidamente, togliendosi anche solo quel minimo cenno di contegno che avevo mantenuto in tutti questi anni.

Stupide, inutili, fragili gocce che irrompevano, appannandomi la vista, lasciando che questa diventasse sempre più incapace di rispondere agli impulsi mentali che mi imponevano di richiudermi su me stesso come un guscio, mettendo quel sorriso strafottente davanti a tutto e tutti.

Pericolo: la mia fragilità era un pericolo, lo diceva anche il vecchio.

Esporsi non era qualcosa di permissibile, soprattutto con qualcuno che a malapena si conosceva.

Mi asciugai il volto con la mano il più frettolosamente possibile, costringendomi a cancellarle, a rimuoverle totalmente, come se non ci fossero mai state, ricacciandole via per poi irrigidirmi di netto.

Irrigidirmi per una piccola, piccolissima motivazione, che poteva decisamente far crollare la facciata una volta per tutte, cosa che non avrei mai accettato.

Voltai la testa di colpo, quasi realizzando il fatto che sì, lui c'era ancora e sì, mi ero completamente dimenticato di ciò, forse perché a parlare di Nicholas tornavo a diventare come un bambino, per quanto non lo volessi era più forte di me.

-Jacop ... Sei ancora qui?-

Avrei potuto imprecare in mille modi per quanto mi sentivo irritato con me stesso.

Mi ero lasciato andare davanti ad uno della mia ciurma: okay che era uno di quelli che era stato di più con me come capitano, ma comunque non mi avrebbe più visto nella stessa maniera.

La maschera stava cadendo a pezzi e non potevo più farci nulla.

L'uomo con la benda sull'occhio non si scompose, semplicemente si strinse nelle spalle e rapidamente uscí dalla stanza, tenendo stretto lo spartito di Beethoven.

Lo segui con lo sguardo con costanza, tenendolo d'occhio, come per dirgli di non aprire bocca con nessuno su ciò che aveva udito e visto.

Non volevo che la notizia divagasse.

Non volevo che qualcuno lo venisse a sapere oltre alle persone in questa stanza: non che volessi che loro sapessero, ma ormai era troppo tardi per tornare indietro.

Prima di uscire, Jacop fece un inchino, a cui mi ritrovai ad inarcare leggermente il sopracciglio.

Quando si rimise nella posizione originale, il suo sguardo guizzó nel mio.

Vi lessi molte parole mute, molte che avrebbe potuto pronunciare e che stranamente non erano quelle che mi sarei aspettato.

Non c'era pena, non disgusto, solo un affetto che accolsi e compresi, facendomi sentire come se avessi dubitato troppo.

Quello sguardo voleva la mia felicità è non potevo non essergli grato per questo.

Dopo l'incrociare di sguardi, rapido e silenzioso, lui se ne uscí asserendo un - Con permesso- per poi sparire oltre la porta della stanza.

Vi fu silenzio per parecchio tempo, un silenzio che mi parve eterno, prima che mi degnassi di tornare con lo sguardo alla ragazza che avevo di fronte.

Sembrava attendere le mie parole, quasi non aspettasse che un verdetto finale.

Mi uscí un semplice sospiro pieno di esasperazione, soprattutto nel tempo in cui realizzai il fatto che la mia testa si stava riempiendo di domande, tutte incentrate sul bambino con cui avevo fatto amicizia tempo addietro e che non aveva mai smesso di avvolgere la mia mente in tutti gli anni.

Avevo cercato di allontanarlo, desiderando di placare quelle richieste sconsiderate semplicemente concentrandomi sulle donne.

La facilità nel sedurle era immane, soprattutto mettendo in atto qualche cortesia e gentilezza.

Eppure Nicholas c'era sempre stato.

Un chiodo fisso, puntato al centro della mia testa, spinto a fondo dalle onde dei piaceri carnali che io stesso giudicavo come disgustosi a tratti, ma che tornava sempre a galla a punzecchiarmi nei momenti più inopportuni.

Appena la ragazza era salita a bordo infatti, oggi, lui aveva preso a balenare senza tregua e senza un motivo vero e proprio.

Avevo cercato di resistere, ma lui aveva continuato a picchiare i miei altri pensieri e a spingerli altrove infiltrandosi laddove non avrebbe dovuto passare.

Pure Hunk, il mio cuoco di bordo, se n'era accorto e aveva finto di avermi tenuto da parte il cibo solo per parlarmi e chiedermi se era ciò che pensava.

Hunk era l'unico a sapere, siccome era stato con me dai tempi in cui vi era stato il vecchio, quando ero stato salvato dal mare che mi avrebbe potuto inghiottire per sempre.

E di quelle domande tanto insistenti che andavano a basarsi su Nicholas, una sola era quella che si ripeteva più frequentemente.

E fu proprio quella che chiesi.

-Come sta?-

Ventiquattr'oreWhere stories live. Discover now