Capitolo 26- Questa uscita non me la aspettavo

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Quando finalmente fui completamente calma, decidemmo di andare fuori da quella libreria

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Quando finalmente fui completamente calma, decidemmo di andare fuori da quella libreria.

Dalle cinque quali erano state, ormai erano già passate alle sette meno un quarto.

Nicholas si era offerto di accompagnarmi al mio appartamento e mi limitai ad accettare la sua gentilezza, anche perché speravo, tra me e me, di riuscire a gettare fuori quella confessione che probabilmente la missione mi avrebbe richiesto, anche se non ne ero del tutto sicura.

Dovevo dirglielo e così evitare possibili "morti" che poi non lo erano in realtà, ma che lasciavano comunque una morsa al petto enorme.

Non mi importava se era un personaggio di un gioco: non volevo morisse.

Non doveva morire, non lo accettavo.

Era un amico, era... Non trovavo le parole esatte per dirlo.

Mi limitai a camminare affianco a lui per minuti che parevano infiniti, passando davanti ad una strana serie di macchine di costruzione che stavano sistemando delle case sprofondate nel terreno.

"Ah, giusto. L'esplosione... L'esplosione ha provocato tutto questo"

Ce ne erano davvero tante, di macchine.

Sistemavano le abitazioni con pezzi di legno, di metallo e di marmo, riuscendo a sollevare lo scheletro di una casa e ad 'operare' il suo interno attentamente.

Sembrava una cosa complicata.

Bracci meccanici si muovevano a destra e manca, spostando materiali su materiali.

Smisi di osservarli solo dopo un po', tempo in cui mi ripresi mentalmente per la mia facilità di distrazione.

Dovevo capire come buttare fuori quelle poche parole, in che momento e dove.

Non di certo in mezzo alla strada: avevo più tempo a disposizione, dovevo usarlo bene a mia disposizione.

Magari davanti a casa? Glielo avrei potuto dire lì?

Quello era probabilmente il posto migliore, anche perché non ero sicura se volesse entrare in casa o no.

Il nervosismo prese a giocare con il mio stomaco in maniera palesemente disturbante.

Avevo un dolore enorme lì, dei crampi che non avrei potuto sentire nemmeno se avessi avuto il ciclo.

Era davvero, davvero tremendo.

"Sono due parole, Nat. Non preoccuparti. Stavolta ce la farai. Devi farcela, chiaro?"

Più me lo ripetevo nella testa e più i crampi aumentavano.

Per riassumere, il tentativo di convinzione non mi aiutava per niente, anzi, peggiorava a dir poco la situazione.

Mi sembrava uno di quei momenti in cui tutto o sarebbe andato liscio come l'olio con una partenza merdosa, o tutto sarebbe andato completamente da schifo con una partenza superlativa.

Sinceramente? Delle due speravo vivamente fosse la prima: al massimo mi sarei potuta umiliare, ma non sarebbe andata a gettarsi in una maniera depressiva.

-Sei davvero molto immersa tra i pensieri... sembri lontana mille miglia dal pianeta. Terra chiama Natalie- fece improvvisamente Nicholas, distogliendomi dalle mie gigantesche pare mentali.

All'inizio lo guardai con una certa sorpresa, poi scoppiai a ridere senza poter trattenermi.

Questa uscita non me la aspettavo, davvero.

-Ah, wow, improvvisamente mi sento magico. Sono riuscito a farti ridere-

-Decisamente- asserii, sghignazzando appena e facendomi aria con una mano, cercando di prendere aria.

Decisamente, non me la ero proprio aspettata quella frase.

-Beh, la tua risata é molto bella, dovresti... Dovresti ridere di più-

Sorrisi a Nicholas, con una completa spontaneità.

Lo ringraziai, ricevendo un -Non c'è di che-

E tornai di nuovo sulla base terra, sperando vivamente di riuscire a trovare il coraggio di buttare fuori la confessione senza risultare troppo strana.

"Ossigeno, Natalie. Solo un po' di ossigeno. Questa volta andrà tutto bene. Puoi metterci tutto il tempo di cui avrai bisogno quando sarai davanti a casa. Chiuderai la giornata con la tua confessione e vedrai se domani il libro delle missioni lo accetterà e ti metterà altre giornate a disposizione. Dai. Forza. "

-Ehm. Nicholas?-

-Sí?- la sua espressione si fece incuriosita.

-Quando arriveremo... Ti devo dire una cosa importante. Solo che è una cosa complicata da dire... Quindi non uccidermi se ci metterò un po' ...- risi nervosamente

-Uhm... Okay? É una cosa davvero così complicata?-

-Per me? Sì. Per qualche motivo mi risulta stramaledettamente complicato. E sarebbe facile, in realtà... Ma il mio cervello non lo vede come tale, a quanto pare-

-Okay. Aspetterò allora- sorrise leggermente, un espressione che mi sciolse.

Ma di cosa avevo paura? Era Nicholas, per la miseria! E poi... Quell'espressione mi scioglieva dalla testa ai piedi.

Dovevo dirglielo. Quanto mancava all'appartamento di salvataggio? Mi sembrava di camminare da una strafottutissima ora!

O il tempo faceva gli scherzi, o ero così emozionata che nulla sembrava muoversi per davvero.

Eppure si muoveva, cosa constatata dopo quella decisamente troppo lunga parte  di tempo che era passato prima che riuscissi , accompagnata da lui, a raggiungere una delle case più vicine alla mia, la quale seguì dopo una serie di istanti eterni e dannatamente troppo lunghi per il mio povero cervello, già surriscaldato e pericolosamente messo a rischio dall'emozione misto a qualche altro crampo di troppo che avrebbe dovuto sparire, ma che era ancora lì.

Una volta lì davanti, mi fermai.

Anche lui lo fece, l'aria calma, attenta, che mostrava palesemente il fatto che avrebbe anche aspettato tutto il giorno pur di avere la mia frase, cosa di cui gli ero grata in una maniera impensabile.

E dentro di me ero pronta: dovevo solo riuscire a collegare quel "dentro di me" con i muscoli della bocca e sputare fuori la sentenza, sentendo il cuore che a momenti mi sfondava il petto dall'ansia.

Un continuo "devi dirglielo, buttati" si ripeteva nella mia testa, insistente e fastidioso, ma non privo di ragione.

"O ora o mai più. È il momento"

-Nicholas... Tu mi ... Tu mi piaci!-

Lo avevo praticamente urlato, anzi, niente 'praticamente': lo avevo urlato, seriamente.

Lo avevo fatto con tutto il fiato che avevo nei miei polmoni, chiudendo gli occhi di netto per la tensione.

Li tenni chiusi per non so quanto... I secondi passarono, come se tutto si fosse fermato.

Quando li aprii per vedere cosa diavolo fosse accaduto, mi ritrovai davanti ad una sottospecie di schermata in rosso.

La schermata diceva una sola parola, in una calligrafia forse anche troppo ordinata e ben decorata per risultare reale.

La parola scritta era -Bugiarda-

"Eh?"

Quando la schermata scomparve, mi ritrovai davanti ad un Nicholas con un espressione piegata in un che di doloroso quanto distruttivo.

Ma ancora più distruttivo fu il momento in cui vidi un asta di metallo staccarsi dal braccio elettronico di una macchina, andando ad infilzare il petto di Nicholas.

Ventiquattr'oreWhere stories live. Discover now