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Socchiudo gli occhi e li punto verso il quadrante della sveglia sopra la scrivania, proprio davanti al mio letto. I numeri rossi luminosi mi scrutano lampeggiando sullo sfondo nero e una melodia ritmica si solleva dall'oggetto, diffondendosi nella camera in penombra.
Sbuffo sonoramente togliendomi di dosso le pesanti coperte, il plaid a righe si affloscia da un lato e guadagna in fretta la caduta.
Il pavimento gelido mi fa rabbrividire mentre poggio i piedi sul parquet levigato, e ho la sensazione che mille spille si siano appena infilate nella mia pelle; quindi, ho fretta di tornare al sicuro.

Scatto veloce in direzione della scrivania e, nel mentre, afferro una maglia sgualcita da terra, blocco la musica incessante e poso il vestito sulla sveglia, coprendo così alla mia vista quella luce fastidiosa.
Mi rituffo sotto le coperte tirandole fin sul naso, cercando conforto in un pallido tepore ancora impresso nella stoffa.

Che giorno è?

Ripasso a mente gli avvenimenti della settimana e accompagno la riflessione con brevi cenni del capo. Apro di nuovo le palpebre.

È già venerdì.

Le analisi, come dimenticarle.
Sono combattuto sul da farsi, però mi risuona subito in testa la voce petulante di mio fratello: "Damien, il venerdì c'è meno gente, non lasciarti scappare questa occasione."
Occasione.
Sogghigno.
Neanche ci fossero delle offerte speciali in un supermercato.

Si tratta solo di farmi togliere del liquido rosso dal corpo, mandarlo ad analizzare per conto di altri e consegnarmi il responso.
Fine della storia.
Sospiro e mi costringo ad alzarmi ancora. Brividi di freddo, una scarica attesa, ma comunque temuta.
Mi avvicino a una sedia posta in un angolo e afferro i jeans logori di uno sbiadito azzurro: c'è qualche immancabile spacco sul ginocchio, visto che di questi tempi va molto di moda andare in giro come dei mendicanti. Li indosso con gesti precisi e abbino una t-shirt blu, una felpa bianca dall'ampio cappuccio e un paio di scarpe da ginnastica.
I lacci verde fosforescente pendono in basso mentre fatico ad allacciarli. Non faccio altro che prenderli, rigirarli, ma loro continuano a sgusciare via come se fossero posseduti.
Mi tremano le mani e non solo per il freddo.

Dannazione.

Stringo le palpebre e le massaggio con la punta dei polpastrelli.
Forza e coraggio, è in arrivo una nuova giornata.
Piego alla meno peggio le tre ricette bianche e rosse e le infilo in una tasca laterale, non mi interessa neppure se, una volta uscite da lì, risulteranno sgualcite; l'importante è riuscire a leggere le scritte.

La luce del bagno emette un leggero sibilo, talvolta si abbassa di potenza e minaccia di spegnersi.
I miei stessi occhi mi lanciano un'occhiata storta nel riflesso dello specchio, resto fermo una manciata di secondi a scrutarmi, a ricercare in quell'immagine qualche traccia di me. A volte mi capita di non riconoscermi, incapace di notare i miei dettagli tra le tante maschere indossate: una sfilata infinita e ridondante.
La sensazione dura pressappoco un minuto, poi agito il capo e ingoio, pulisco una macchia sul vetro e mi concentro mettendo da parte il dolore nello stomaco e la nausea crescente.

Sposto di lato i capelli, provo a dare una sistemata a quel casco dove si è appena disputata una guerra, però i ciuffi ribelli sono davvero indomabili; tanto vale tenerli così come sono.
Fisso il mio naso storto e lo paragono per l'ennesima volta con quello di Michael, un coetaneo del terzo B: perfetto, longilineo al pari di uno dei modelli per i profumi, i tipi con la mascella e il viso ritoccato al computer.

Osservo il mio: un regalo del vicino dei piani superiori quando avevo solo quattro anni. Uno "scherzo innocente", a detta della madre.
Non riesco a ritenerlo tale. Ricordo perfettamente le mie ossa scricchiolare e il profilo rovinato per sempre.

Alzo le spalle.
Non importa, dopotutto, non si torna indietro.

Metto da parte quei pensieri e sfodero un sorriso smagliante, alzo persino gli angoli della bocca servendomi delle dita.
Sono pronto per uscire e mostrarlo al mondo là fuori, e farò un figurone.
Non accendo la luce o rischio di svegliare mio fratello, quindi avanzo a fatica e cerco di distinguere nel buio gli oggetti presenti nel salone. Urto un paio di volte le sedie attorno al tavolo, le ascolto produrre un suono secco e distinto. A un passo dalla meta inciampo nel tappeto e finisco quasi a terra.
Sono un maestro del silenzio, non c'è che dire.
Compio tre giri della chiave nella toppa e completo il gesto lentamente così da produrre meno rumore possibile.
Afferro la maniglia con un sospiro di sollievo e apro l'uscio. Purtroppo il maledetto cigolio si propaga per l'intera tromba delle scale rimbombando fino all'ultimo piano.

Promemoria: oliare i cardini al più presto.

Chiudo il pesante portone alle mie spalle e inspiro una buona boccata d'aria fresca, un po' troppo frizzante visto l'orario, eppure ha quella nota di libertà che mi spinge a ingerirne sempre di più.
L'alba non è ancora sorta e mi concedo un istante per ammirare i lampioni rischiarare la strada di cemento scuro: le luci creano giochi e sagome indefinite, quasi misteriose.
Tiro su il cappuccio e mi proteggo in quel modo dal freddo dell'inverno inclemente, dal suo gelo a graffiare i muscoli alla ricerca di una crepa per penetrare le ossa e mangiarle dall'interno.

«Vai a scuola presto, Damien?» La voce da uomo attira la mia attenzione e incrocio lo sguardo gentile dell'inquilino del quarto piano.
Una spessa sciarpa gli copre il collo e si abbina perfettamente con la giacca elegante di un color caffè e le scarpe mogano.

«No, vado a fare le analisi.»
Avrei voluto aggiungere il suo nome, ma non ho idea di come si chiami. Mi è capitato di incrociarlo di rado e sono una frana a ricordare i nomi, e poi la maggior parte delle volte osservo le persone parlare, presentarsi, ma non li ascolto davvero.
In sostanza non mi interessa di loro, questa è la verità.
Sorrido tuttavia cordiale e lo saluto con un gesto lento e calcolato mentre mi allontano.
La maschera invisibile è al proprio posto e il costume da attore mi calza a pennello.
Nessuna anomalia, tutto perfetto.

Si va in scena.




************

Spazio dell'autrice:  Ho pensato a questa storia in una notte nella quale non avevo più sonno ( e nel momento in cui il sonno è sopraggiunto, l'idea di Damien mi ha trafitto come un pugnale tenendomi sveglia ancora per molto) Spero che il primo capitolo vi sia piaciuto =w=
Damien percorrerà una strada complicata, ci saranno alti e bassi, ma per lui ho in mente una via precisa e piena di soddisfazioni.
Fatevi sentire con qualche commento, critica o altro. È sempre un piacere ricevere pareri da parte vostra.
Grazie ancora <3 <3

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