<72> Daniel.

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Sento caldo e freddo.
Qualcosa mi passa sulla fronte e non ho idea di cosa sia.
Sembra... viscida. E disgustosa.

Devo avere le percezioni sballate.

Mormorii, un suono secco e un'imprecazione bassa.
Una voce maschile, un tono che la mia mente fatica a immagazzinare.
Non sono a casa mia.
Gemo e socchiudo le palpebre, muovo una mano sulla mia fronte, tastando con le dita una stoffa bagnata.
Ecco spiegato il fatto del sentire freddo.
Apro la bocca e le labbra sono totalmente aride.

«Ho sete...» bofonchio senza neppure capire con chi stia parlando.

Rielabora, Daniel.
Dove sei stato? Come sei arrivato qui?
Qui... dove?
Mi guardo attorno, la luce del sole filtra tra le persiane socchiuse.
Alla fine poso lo sguardo su una figura alta, bionda e, soprattutto, mai vista.
Sgrano gli occhi e faccio per alzarmi, però un giramento mi costringe a sdraiarmi.
Cazzo, dove sono capitato?

«Chi diavolo sei?» lo aggredisco e lo vedo sollevare entrambe le braccia per calmarmi.

«Daniel, devi restare calmo. Ti chiamo Nathan» risponde, affacciandosi dalla stanza.

Nathan? Cosa c'entra lui?
Un flash: il mio cellulare che cade, delle mani lo raccolgono, i suoi occhi azzurri nei miei.
Mi mordo le labbra e qualcosa si muove dentro di me.
Qualcosa di incomprensibile.

«Come ti senti?» La sua voce non la ricordavo così delicata.

Ansimo e ingoio. Mi sento male.
«Ho sete» ripeto, come se non sapessi dire altro.
Cavolo, Daniel, riesci a dispensare battute sempre e comunque, e non sei capace di rispondere alla domanda più semplice mai stata fatta?
Nathan annuisce spostandosi i capelli dietro l'orecchio, mentre si dilegua di nuovo, lasciandomi ancora una volta da solo con quell'uomo.

Lo fisso e lui fissa me.
Sorrido affabile. «Mi spiace per la mia reazione, di solito sono una persona cordiale e...» rido. Tanto non so fare altro, a quanto pare.
Si scioglie in un sorriso comprensivo.

«Sono Jhon, il padre di Nathan» si presenta cortese. In effetti, noto la netta somiglianza con il figlio.
Come ho fatto a non arrivarci prima?
Nathan torna portando con sé un bicchiere colmo d'acqua che io trangugio neanche mi trovassi in un deserto.

«Grazie» dico, dandogli indietro il bicchiere. Nel fare quello, sfioro con le mie dita le sue mani delicate.

Ha la pelle morbida e, non so per quale motivo, i miei occhi scendono sulle sue labbra.
Devono essere morbide anche loro.
Mi scocca un sorriso timido e mi rendo conto che, a parte i due momenti in gita, non ci siamo più parlati né incontrati.
Ingoio e sospiro. Va bene, Daniel, saprai destreggiarti anche in questa situazione.
Dopotutto, sei un tipo squisito.

«Mi dispiace del disturbo» inizio a dire e Nathan scuote la testa.

«Nessun disturbo. Sei svenuto, non ti avrei mai lasciato lì senza intervenire» parla, ed è come se cinguettasse.
Ha un tono così rilassante, potrei ascoltarlo per ore.

«Ragazzi, vi lascio soli. Più tardi ti poterò qualcosa di caldo, Daniel» esordisce Jhon uscendo. Accosta la porta della stanza e non la chiude completamente.
Di sicuro non si fida a lasciare suo figlio con un completo estraneo, lo capisco bene.
Nathan unisce entrambe le mani e, dopo aver compiuto un giro completo, i suoi occhi si posano su di me.
Stringe le labbra e le rilascia, muovendosi verso il letto.
Il suo letto.
Il profumo di vaniglia sulle coperte è inconfondibile, impregna ogni singolo angolo di questa stanza.

«Oltre ad avere sete, adesso ti senti meglio?» chiede ancora, sedendosi né troppo vicino, né troppo lontano.

Annuisco e incrocio le gambe. Guardandomi bene, indosso una maglia che non mi appartiene.
Sarà di suo padre? Chi mi ha spogliato e vestito?
Alzo le spalle. Avranno di certo compatito il mio corpo pieno di cicatrici e lividi ancora freschi.

DestinoOpowieści tętniące życiem. Odkryj je teraz