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«No, assolutamente no» dice Daniel incrociando le braccia.
Sbuffo e lo fisso storto.
«Non posso permettervi di dormire sul divano! Siete in due, è più plausibile che stiate nel mio letto» mi impunto, non riuscirà a convincermi questa volta.
O forse sono solo un illuso, Daniel sa sempre come raggirarmi.
Mi indica con la mano.

«E pensi che, ridotto nel tuo stato, ti permetterei di dormire su quel divano? Ti escono i piedi per quanto sei lungo. Assolutamente no.» Si volta verso Roberta che se ne sta in piedi accanto a lui, una delle mie magliette a farle da camicia da notte, le gambe minute spuntano dal bordo.

«Diglielo anche tu, Roby» la incita a venirmi contro.
Odio quando fa così e cerca man forte negli altri, lasciandomi a combattere la battaglia da solo.
E per di più, sta basando la sua teoria su una stupidaggine, visto che lui è più alto di me di qualche centimetro.
Sua sorella alza le spalle e Daniel le mena una botta benevola sul capo.

«Devi stare dalla mia parte!» ride e la prende tra le braccia, passandomi accanto, dirigendosi verso il salone.

Fine della discussione.
Ha vinto lui.
Alzo gli occhi al cielo e sbuffo. Domani gli terrò il broncio, giusto per fargli credere di avercela con lui.

«Le coperte sono...» dico, però vengo bloccato dalla sua voce.
«Conosco tutto, ci penso io, tranquillo» grida dall'altra stanza.
Resto in silenzio. Non credo lo sappia realmente. Probabilmente lo dice per non farmi muovere ancora.
Stavolta tocca a me alzare le spalle.
Faccia come vuole, sono stanco di lottare contro la sua testa dura.
Entro nella stanza e chiudo la porta, lasciando fuori le chiacchiere di Daniel e la sua musichetta fischiettata con le labbra.
Tutto tace, persino l'orologio attaccato alla parete non mi infastidisce.

Il mio unico pensiero è fisso sulla giornata di domani.
Cosa mi ha detto la mente di invitare Amelia in ospedale?
Non è affatto un luogo felice, anzi, mette molta angoscia e tristezza.
Siedo sul letto e la sensazione emanata dalle coperte fresche mi strappa un sospiro.
Le gambe mi fanno così male. Non si tratta di un dolore fisico, ma uno interno, quasi indescrivibile.
Per non parlare delle braccia, costrette a trasportare tutto il peso e a tenermi in equilibrio.

Sono in questi momenti in cui, essere malato, diventa una crudele realtà, e che rammento a me stesso di non essere un ragazzo normale.
Un cambiamento nella patologia è dietro l'angolo, come un predatore del quale si conosce la forma, ma non l'attimo in cui attaccherà.
Passo un paio di dita sugli occhi, per poi massaggiare le tempie doloranti.

È difficile, davvero difficile convivere con questo senso di mistero e, sapere che durerà per sempre, non aiuta.

Mi faccio forza, buttarsi giù non è certo il metodo giusto per affrontare i problemi.
Sorrido ripensando al pranzo.
È stato bello chiacchierare tutti assieme. Be', io sono rimasto sempre in silenzio, però è stato comunque piacevole ascoltare le loro parole, come se fosse tutto tornato alla normalità e il problema di Roberta non fosse mai esistito.
La vita ci mette davanti a questo: quando si sta bene, ogni situazione potrebbe peggiorare in un secondo, gettandoci nel buio, eppure, al tempo stesso, i brutti momenti lasciano il posto a quelli belli, seppur più lentamente.
Bisogna solo essere capaci di andare avanti.

Mi pesano le palpebre. Sono così stanco.
Poso la testa sul cuscino. Il vago alone del profumo di Daniel aleggia nella stanza.
Come mai non riesco a buttarmi indietro l'immagine del ragazzo che ha importunato Roberta? L'angoscia non mi abbandona e non ho fatto altro che pensare alla ragione di un tale comportamento, e sul fatto che potrebbe succedere ancora.

Basta, sarà meglio dormire.

L'appuntamento in ospedale è alle otto e mezzo, il che vuol dire che, nella mia attuale situazione fisica, dovrò svegliarmi come minimo quaranta minuti prima.
Anche solo vestirmi è un'impresa. Daniel si è proposto di aiutarmi ma, come ho rifiutato mio fratello, così ho fatto con lui.
Lancio un'ultima occhiata alla sveglia.
Sono le undici e venti.

DestinoWhere stories live. Discover now