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«Ci siamo persi.»

«No, non ci siamo persi» ribatte Jason, abbassando il capo per leggere i cartelli oltre il finestrino.

«Questo palazzo l'abbiamo già visto» lo incalzo ancora e, finalmente, lo vedo sbottare: «Va bene, ci siamo persi! È colpa di questo dannato navigatore!» ammette con uno sbuffo.

Mostro una smorfia. «Se tu avessi ascoltato le mie indicazioni...» inizio a dire, ma, dopo la sua occhiata di fuoco, preferisco starmene in silenzio.
Comunque è la verità. Mio fratello non ha il senso dell'orientamento.
Non che io sia tanto meglio di lui: mi lascio portare più dall'istinto, e qualcosa mi dice che, se continuiamo di questo passo, torneremo a casa con le mani vuote.
Sospiro e slaccio la cintura. «Dai, fammi scendere. Facciamo alla vecchia maniera» borbotto afferrando la borsa.

«Cosa fai, Damien? Rimettiti la cintura e non provare a mettere fuori un piede» mi impone Jason tenendo saldo il volante.
Dice sul serio? Da quando in qua pensa di potermi comandare?

«Vuoi girare a vuoto ancora per molto? Le persone del posto sapranno indicare la giusta via, quindi qual è il problema nel farsi aiutare dagli altri?» argomento incrociando le braccia, sfidandolo.

La cintura non tornerà mai attorno al mio petto, su questo può giurarci.

Alla fine, dopo qualche minuto di intensi sguardi a mo' di cowboy all'ultimo scontro, lo sento sospirare. Accosta l'auto in uno spiazzo libero.
«Non andrai da solo» minaccia slacciando a sua volta la protezione, mettendo tutto in sicurezza.

«Cosa vuoi che mi succeda?» domando esasperato mentre apro la portiera, seriamente intenzionato a filarmela da lui e dal suo essere petulante.

«Non si sa mai, meglio non fidarsi» commenta mentre indossa gli occhiali da sole, celando le iridi così simili alle mie.
"Meglio non fidarsi", il motto capace di racchiudere il comportamento della nostra intera famiglia.
Rammento un episodio dove da ragazzino, scrutando in lontananza un'ombra minacciosa, mio fratello mi costrinse a cambiare strada e anche con una certa fretta quasi fino a dovermi trascinare di peso. Morale della favola: si trattava di un cassonetto per la raccolta differenziata, uno di quelli alti con le rotelle.

Ecco il suo grande mostro.

Storco la bocca e mi affianco a lui in attesa sul bordo del marciapiede.
È davvero affollato a quest'ora, non me l'aspettavo. Stringo la bretella della borsa e ingoio.
Adesso che siamo con i piedi a terra, e non più nell'abitacolo sicuro, sale la mia agitazione.
Lo ammetto, un po' ho sperato di non trovare la strada e quindi essere costretti a tornare a casa. Una parte di me ancora rifiuta questo grande incontro.
E se finisse male? Se rimanessimo delusi dalla metà nascosta del passato?

«Forza, Damien», mi incita Jason, camminando sulle strisce, «devo prenderti per mano?» scherza guadagnandosi da parte mia un versaccio seccato.
Questa è la nostra prima uscita assieme, solo noi.
Due fratelli uniti, o almeno è questa la sensazione data da fuori. Nessuno sa quanti anni siamo stati separati, per poi avvicinarci soltanto da poco.
Certo, abbiamo ancora le nostre divergenze e caratteri differenti, però è sicuramente meglio di prima.

«Bello e poco invasivo il tuo tatuaggio» commenta, accennando uno sguardo verso il mio braccio.
Sorrido e scruto a mia volta l'uccellino bianco stilizzato. Ho imparato ad amarlo, a pensare ad Amelia anche quando non è con me.
Non glielo dirò mai ma, ogni sera prima di andare a letto, bacio il disegno con tenerezza sperando che durante la notte voli a portarle il mio amore.
Cavolo, da quando sono diventato così sdolcinato? Mi farò venire il diabete.

«Devi amarla davvero molto» aggiunge ancora Jason facendomi arrossire.
Si sta prendendo troppe libertà. Insomma... infilarsi nelle mie questioni personali in questo modo!
Mi imbarazza ancora parlarne apertamente. Ammettere i miei sentimenti non è facile, perché ho la sensazione che, se dovessi farlo, il sogno potrebbe infrangersi e mostrarmi come tutto non sia mai cambiato, rigettandomi nella mia monotona vita.

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