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Lo schermo lampeggia.
Stringo forte il telefono tra le mani, mi fanno male le dita.
Ho il fiato spezzato, emozionato, il cuore minaccia di uscirmi dalla bocca.
Sollevo lo sguardo dal finestrino e, per una volta nella mia vita, prego che il tempo si velocizzi.
Dannazione, quanto è lento quest'autobus. Di solito i conducenti guidano come pazzi... il fato mi sta remando contro a ogni costo?
Mi passo una mano sul collo rigido.
Sorrido. Sorrido da solo come uno scemo.
Non ci speravo, invece è successo, e non potrei sentirmi più felice di così.

Appena intravedo i palazzi conosciuti, mi tiro su aggrappandomi ai pali di ferro, pronto a tuffarmi veloce fuori dal mezzo. Le porte si spalancano con un cigolio e io sono fuori da lì, le gambe tese nella corsa e il vento tra i capelli.
La maglietta si attacca al petto sudato.
Gli eventi accaduti qualche giorno fa restano solo un vago ricordo, se paragonato a un momento del genere.
Prendo fiato e salto un ostacolo; un secchio di latta ribaltato, la spazzatura copre la strada. Sarà stata colpa di un cane o di un gatto.
Ansimo forte e sollevo lo sguardo verso le finestre superiori della casa. Sono aperte per metà, uno scacciapensieri trilla con l'unico campanello rimasto.

Un po' macabro. Sembra come se qualcuno abbia mozzato di proposito gli altri sonagli, lasciandolo a corto di suoni.
Possibile che io sia in grado di vedere del tragico anche in un semplice oggetto? Andiamo, Damien, concentrati.
Compongo il numero e ascolto con il cuore in attesa.
Lo so che ci sei.

—Dami?—

La voce del mio migliore amico. Lo sento borbottare qualcosa con sua sorella e ridere subito dopo.
Sembra tranquillo, un buon segno.
Non trattengo un nuovo sorriso, sento le guance tirare con forza.

«Dani, sono sotto casa tua. Puoi scendere un attimo?» dico ansimando, i battiti a mille.

—Tutto bene?— Il tono cambia. Lo sento preoccupato, il fruscio dei capelli sul microfono.
Ingoio a fatica. In realtà, avrei bisogno di un po' d'acqua, giusto un goccio per idratare la bocca arida.

Be', è ovvio che si sia allarmato; non è quasi mai capitato di vedermi arrivare qui senza preavviso.
Mettere piede in questa abitazione equivaleva a "entrare nella tana di una bestia", o almeno è sempre stata la spiegazione data da Daniel.
Per questo motivo, sin dal nostro primo incontro, non mi ha mai invitato di sua spontanea volontà ma solo se costretto.

«Sto bene, tu scendi e basta» dico con insistenza, pensando solo in un secondo momento a suo padre.
Ti prego, fa' che non esca a rovinare tutto.
Percepisco il suono delle chiavi nella porta e gli occhi di Daniel sono dentro i miei, lo sguardo inquisitorio e confuso. Si avvicina al cancelletto e lo apre, nel mentre scruta sul mio volto segnali di cedimento.
Inutile cercare. Solo talmente felice che potrebbe accadere di tutto, e manterrei comunque il sorriso.

«Cosa ti prende?» domanda, contagiato dal mio buon umore, sorridendo a sua volta.
Mi schiarisco la gola.
Conto i battiti del cuore, cerco di rallentarli, però è davvero impossibile.

«Mia zia Ana ha chiamato poco fa. Ha chiesto di vederti, anzi, di vedere entrambi per parlare di quella situazione» esclamo utilizzando una storta di codice segreto.
Devo tenere il mio amico al sicuro e, se suo suo padre fosse in ascolto, potrebbe altrimenti intuire qualcosa.
Vedo Daniel trattenere il respiro, gli occhi si muovono verso la porta e tornano sulla mia figura.

«Intendi...?» aggrotta la fronte improvvisamente spaventato.
Daniel torna un ragazzino soltanto in questi momenti. Un ragazzino fragile e insicuro.

Annuisco. «Ti racconto tutto strada facendo, sempre che tu... ti senta pronto a venire» dico senza permettere al mio entusiasmo di sgonfiarsi.
Devo essere il pilastro di Daniel ed è questo che farò: gli starò accanto, gli fornirò la mia spalla e il mio supporto, proprio come ha sempre fatto per me.

DestinoWhere stories live. Discover now