<Extra> -31 ottobre- Tempo fa.

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I bassi prodotti dalla musica muovono le pareti della palestra, le luci si alternano proiettate fuori dai vetri superiori.
Rosse, verdi, blu, gialle.

Mio Dio, sono davvero qui?

Perché, quando la professoressa è entrata in classe annunciando l'evento per il 31 di ottobre, l'ho percepita come una costrizione a partecipare?
Forse avrei potuto declinare l'offerta, però un ragazzo normale sarebbe venuto senza ombra di dubbio. Giusto?

Posso farcela, basterà aggirarmi tra la folla e fingere divertimento.

Regola numero uno: salutare più persone possibili così da ricevere una testimonianza futura della mia presenza.
Regola numero due: non bere in nessun caso alcunché, neppure sotto minaccia.
Regola numero tre: sorridere e non ballare. Peggiorerei solo la situazione attirando sguardi indiscreti sulle mie scarse abilità.

Prendo un nuovo respiro.
Ho perso il conto dell'aria ingerita e buttata fuori.
Muovo il corpo in avanti stringendo forte i pugni nell'istante in cui le mie orecchie entrano in collisione con i suoni.
Pessimi, devastanti, scoordinati.
Dovrebbero incutere timore? Il bastone del professore di italiano fa un lavoro migliore nel creare suspance, se paragonato a queste canzoni da dilettanti.

Non conosco nessuno, o meglio, non ricordo un singolo nome. Sorpasso la soglia e già mi pento di essere venuto alla festa.
Dannazione.
Cosa c'entra un ballo di Halloween con la condotta scolastica? Niente.

«Damien!»

Volgo il capo verso sinistra e, in quel mare di luci e facce ostili, osservo un paio di iridi verdi e luminose.
Oh, c'è anche lui. Come si chiamava?
Deve avermelo detto durante il nostro incontro di due settimane fa alla caffetteria, ma ero perso in quel limbo particolare che io chiamo: "mente vagante."
In sostanza, quando il mio corpo è sul piano terreno mentre il pensiero vola via.

Sorridi.
Tiro su le labbra e lo saluto con un cenno del braccio.

«Ehi» dico. Si va sempre sul sicuro con un saluto neutrale; né troppo intimo, né troppo freddo. Basterà che qualcuno lo chiami e i giochi saranno conclusi.
Riflettendo bene, iniziava con la D.
Scruto il suo abbigliamento: i capelli tenuti in una coda stretta all'indietro; la camicia bianca sbottonata a lasciare scoperta buona parte del petto; i pantaloni neri attillati attorno alle gambe; un mantello dentro rosso e fuori scuro come la notte munito di un colletto alzato.
Un vampiro, o almeno credo.
Be', i classici aspetti del costume ci sono tutti, sbagliare sarebbe da stupidi.
Tengo in mente un discorso su eventuali apprezzamenti, per quando non avrò altro da dire e calerà un silenzio imbarazzante.

«Da cosa sei vestito?» mi domanda avvicinandosi, tenendo la mano di una ragazza che non avevo notato fino a quel momento.
Lei ha messo in mostra così tanto del suo corpo, e mi domando per quale ragione non sia venuta direttamente nuda.
Oh, già, il costume del personaggio rappresentato richiederà la pelle scoperta, o almeno sarà questa la scusa comune pur di farsi notare.

«Da niente», rispondo abbozzando un sorriso, «non era un obbligo, o almeno questo recitava il biglietto dell'invito.»

Per carità. Io e le feste siamo ormai due universi lontani.
La ragazza solleva le labbra truccate, il rossetto scuro quasi le tocca il naso.
Sarebbe davvero buffo vederla andare in giro con la punta nera e non dirglielo.

«Era una frase messa tanto per scriverla. Chi non viene vestito a una festa?» dice con la sua voce gracchiante, ridendo di me.

«Dai, non essere crudele, piccola» la rimprovera lui mollandole uno schiaffo sul sedere, per poi ghignare con una faccia maliziosa.

DestinoWhere stories live. Discover now