<65> Tempo fa.

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Rannicchio le gambe contro il petto e poggio la testa sulle ginocchia.
Le foglie si muovono sopra la mia testa, colpite da un vento freddo e inclemente.

Niente è facile.

Perché non potrebbe esserlo? Perché deve essere tutto complicato?
Tiro su con il naso e rabbrividisco.
Non è stato saggio uscire con questo freddo, probabile che mi prenderò un malanno.
Avevo bisogno di pensare, di riflettere.

Sospiro e stringo le palpebre.
Non sono un ragazzino come gli altri. Perché non riesco ad appassionarmi a ciò che piace a loro?
Vorrei sentirmi spensierato, felice di apprezzare anche le piccole cose. E allora come mai la mia mente è così ingarbugliata?

Una lacrima mi riga il volto e la lascio lì, libera di percorrere la pelle nella sua corsa inarrestabile verso il basso.
Percepisco un suono poco più in là, un calpestare di foglie e terra.
Sollevo gli occhi, incrociando uno sguardo preoccupato, eppure caldo e gentile.
Mi si stringe il cuore e mi impongo di non crollare, ma tanto so che sarà così.

«Damien, cosa ci fai lì sotto?» domanda mio padre curvandosi sotto le foglie, scostandole con l'aiuto del braccio.

Mi mordo le labbra e alzo le spalle.
La voce mi tradirebbe. Lo fa sempre, e ho imparato a tentare prima un approccio con i gesti.
Sospira bonariamente e si avvicina.
No, papà, non voglio mostrarti quanto so essere stupido quando si parla di sentimenti.

«Allora» esordisce sedendomisi accanto, restando chinato per non sbattere la testa contro i rami bassi. «Cosa succede», non la imposta come una domanda, ha già compreso come ci sia qualcosa che non va.

Tentativo fallito, i gesti non bastano.
Ingoio.
Posso farcela.

«Niente, papà, le solite cose» rispondo, maledicendo la mia voce nel sentirla cedere all'ultima parola.

Non riesco a portare avanti neppure una bugia.
Sorride e mi scosta i capelli dagli occhi, da quegli occhi fugaci che guardano tutto, tranne lui. «Lo sai, non mi annoiano le solite cose» dice, carezzandomi piano la guancia.

Resto in silenzio, concentrandomi sul terreno e sulla moltitudine di sassolini nascosti sotto le foglie.
Un ciottolo è lontano dagli altri, spezza il cerchio con la sua forma ovale e non tondeggiante.
Ecco, quel sasso sono proprio io. Diverso, scacciato, incompreso.
Mi si riempiono gli occhi di lacrime e le gocce iniziano a scendere, calme e silenziose. Sono così in disaccordo con il tumulto che invece si agita nel mio cuore.

Mio padre mi cinge le spalle con un braccio e mi attira verso di lui, permettendomi di nascondere la mia vergogna contro il suo petto, ascoltando i miei singhiozzi tristi.
«Va tutto bene, figliolo. La tempesta non dura per sempre» mi consola, muovendo la mano calda sulla mia schiena.

Non ci credo, papà.
Alcune tempeste non smettono mai, se il cielo non torna limpido.

«Tua madre sta cucinando la zuppa d'orzo. Sarà bello riscaldarsi con quella, durante questa giornata di freddo intenso.» Parla per conto suo, non domanda e mi lascia sfogare.

Questo è mio padre: un ascoltatore, uno che sa sempre come tirarmi fuori dalle brutte situazioni, un pilastro sul cui poggia tutta la mia vita.
Senza di lui, mi sentirei perso.
Tira fuori un fazzoletto di stoffa dalla tasca dei calzoni, e me lo porge.
Asciugo le lacrime e tiro su con il naso, schiarendomi la gola.

«Bambino mio, che cosa ti affligge?» chiede, una volta terminata la crisi di pianto.

Abbasso la bocca in una smorfia triste.
«Non mi vogliono, papà» sussurro incerto, fissando le mie mani strette attorno alle gambe.

DestinoWhere stories live. Discover now